La crisi finanziaria sta ribaltando i rapporti di forza politici tra Parigi e Berlino. Quello in corso è un riallineamento francese alla leadership tedesca che, comunque lo si giudichi nel merito, dà un segnale di omogeneità importante in una fase in cui le divisioni interne alla zona euro sarebbero distruttive.
Fino a quando l’agenda europea era sottoposta alle priorità strategiche e militari, Parigi – potenza nucleare con diritto di veto alle Nazioni Unite – poteva legittimare il proprio diritto d’iniziativa politica in Europa. Fino al settembre 2008, Nicolas Sarkozy, allora presidente di turno della Ue, aveva dimostrato la propria energia diplomatica risolvendo da solo la crisi georgiana. Dopo due settimane il fallimento di Lehman ha cambiato il corso della storia.
Prima di allora Sarkozy puntava su politiche economiche di forte stimolo con le quali aveva caratterizzato la campagna presidenziale. Nel 2007 aveva proposto tagli alle tasse, con cui garantire uno «shock alla crescita», e contemporaneamente una «grande emissione di titoli pubblici» mirata a «finanziare il futuro» per le imprese nazionali. Subito dopo Lehman, nell’ottobre 2008, Parigi aveva preparato una via d’uscita protezionista e nei due mesi successivi aveva sondato un cambio di alleanza con l’impossibile asse tra Sarkozy e Gordon Brown, celebrato l’8 dicembre 2008, il primo vertice – insieme a Barroso e Juncker – a Londra dal quale sia mai stato escluso un premier tedesco. Nel 2009 Parigi aveva fatto da sponda a Washington nel chiedere maggior deficit pubblico in Germania. Ancora nella primavera scorsa, Sarkozy aveva cercato di compensare il peso di Angela Merkel facendosi portavoce dei paesi euro del Mediterraneo. Sotto la pressione della crisi finanziaria, tutti i tentativi di fuga dall’influenza tedesca si sono dimostrati inutili.
Oggi Parigi è l’unico paese – a eccezione di Grecia e Irlanda, di fatto governati da entità europee e dal Fondo monetario – ad aver varato nonostante la crisi una riforma strutturale del bilancio, con un nuovo regime pensionistico. Il premier François Fillon, confermato in ragione del proprio impegno al rigore fiscale, dichiara di alzarsi ogni mattina pensando allo spread dei titoli francesi rispetto a quelli tedeschi. Nel discorso del 25 novembre all’Assemblea nazionale ha innalzato «un’ode al rigore» (così l’ha definita la stampa francese) «contro venti e maree». La riduzione del disavanzo pubblico programmata fino al 2013 è la maggiore mai approvata da Parigi nel dopoguerra. Ciò nonostante i mercati tengono sotto esame la credibilità fiscale del debitore pubblico francese.
A Parigi sono cessate le critiche al modello tedesco trainato dall’export. In un celebre incontro bilaterale a Deauville, che ha sovrastato un contemporaneo Ecofin dei 27 paesi, Sarkozy ha accettato l’impostazione di Berlino di più stringenti sanzioni fiscali per tutti i paesi dell’euro purché non in forma automatica, né ha obiettato alle pericolose dichiarazioni della Merkel sul coinvolgimento nelle perdite dei debitori privati. A Friburgo ha fornito una sponda decisiva al rifiuto tedesco per l’emissione di eurobond. Una piattaforma bilaterale – per ora vaga – prevede una posizione comune tra i due paesi in materia di armonizzazione fiscale e di riforma del Patto di stabilità, un gruppo di lavoro si occuperà specificamente di politiche della tassazione, mentre nuove iniziative franco-tedesche prenderanno la forma delle “cooperazioni rafforzate”, cioè avanguardie che pur nel contesto dei trattati potranno avanzare senza necessità di unanime accordo – e in alcuni casi nemmeno di maggioranza favorevole – tra i 27 paesi.
La strada del rigore fiscale e delle riforme strutturali non era accettata in Francia nei dieci anni precedenti la crisi, quando il tasso di crescita era in media di un punto più alto di quello tedesco. Ma ora è chiaro che la crescita tedesca è salita su uno gradino più alto e promette di restarci per il futuro. Il successo del decennio tedesco – fatto di sacrifici e di riforme – sta dimostrando di portare frutti anche per i cittadini. Ha posto i governi degli altri paesi di fronte a un esempio che non può essere aggirato se non mistificando la realtà.
Sarkozy è ancora convinto di poter limitare l’influenza dominante di Angela Merkel istituzionalizzando un governo economico dell’area euro, ma la cancelliera sta attirando verso l’euroarea una serie di paesi dell’Est e del Nord che pensa garantiranno alla Germania un blocco di voti necessario a porre il veto su tutto ciò che non vada nella direzione voluta. Per Sarkozy non è una strada facile. Alla sua destra il Front National, sotto la prossima guida di Marine Le Pen, propone l’uscita della Francia dall’euro. In fondo, nel 1992 il 49% dei francesi votò contro la ratifica di Maastricht temendo la perdita d’influenza nazionale sui temi fiscali e sociali. La tattica del presidente francese è quella di far credere – almeno ai francesi – che è Berlino ad accodarsi alle proposte francesi e non il contrario: «Parigi gestisce Berlino» è il titolo di un giornale francese vicino al presidente. «La Francia sta imparando» è quello di un giornale tedesco vicino alla Merkel.
Se Sarkozy va a lezione di tedesco
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