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Se Padroni e Operai stanno in Piazza (assieme)

Svolte sindacali.Il caso Per Ance-Confindustria, Rete Imprese Italia e Cgil-Cisl-Uil la scelta simbolica di Montecitorio: persi 250 mila posti di lavoro.
Schiavella (Cgil edili): nei cantieri spopolano il finto part-time e il falso lavoro autonomo. Partita Iva anche per gli immigrati E la crisi spinge in piazza (insieme) muratori e costruttori
Walter Schiavella è il segretario generale degli edili della Cgil e racconta: «Sì, mercoledì scenderemo in piazza accanto ai costruttori. Non sono affatto imbarazzato e in questi giorni di preparazione della protesta abbiamo fatto un po’ da consulenti. Diciamo che di manifestazioni e permessi da chiedere alla Questura ce ne intendiamo noi più di loro». Il 1° dicembre 2010, dunque, passerà alla storia delle relazioni sindacali italiane come la prima volta che padroni e operai scesero in piazza assieme. A Prato nel 2009 tutto il distretto, imprenditori e tute blu, andò in strada per salvare il tessile ma tutto sommato era una mobilitazione di carattere locale. Ora invece costruttori ed edili per protestare non hanno scelto una piazza qualsiasi ma Roma e Montecitorio, il selciato che unisce la Camera dei Deputati e Palazzo Chigi. Davanti, almeno simbolicamente, ai massimi rappresentanti della politica italiana l’ Ance-Confindustria, Rete Imprese Italia e Cgil-Cisl-Uil snoccioleranno il loro elenco: 250 mila posti di lavoro persi e altri 40 mila a rischio, 8 mila imprese che hanno chiuso i battenti, 30% in meno di appalti pubblici, investimenti a -18% ed edilizia residenziale a -34%. Il settore, dunque, boccheggia e, stremato, perde ulteriormente in trasparenza. Le amministrazioni pagano anche dopo 24 mesi, per prendere quei pochi lavori che vengono deliberati i ribassi arrivano anche al 50% e come conseguenza il mattone diventa sempre più grigio. Racconta Schiavella come nei cantieri spopolino il finto part-time e il falso lavoro autonomo, con gli immigrati egiziani e maghrebini costretti ad aprire la partita Iva per poter entrare nel cantiere. L’ illegalità trova quindi la strada spianata e dai costruttori del Nord-Est arriva anche l’ allarme sulle infiltrazioni della mafia, che come un avvoltoio ha messo nel mirino le imprese in difficoltà e costrette a liquidare. Nel marzo del 2009, ormai un anno e mezzo fa, per denunciare tutto quello che stava avvenendo nel settore, costruttori di tutte le regioni e sindacalisti di tutte le confederazioni organizzarono gli Stati Generali e sottoscrissero un documento comune. Il governo li ricevette e promise, ma siccome da allora il tavolo per l’ edilizia si è riunito solo una volta (ed è stata una gran melina), anche i confindustriali più intransigenti e meno inclini al dialogo hanno deciso che non si poteva far altro che scendere in piazza, occupare piazza Montecitorio e andare a guardare i politici da vicino. Del resto se c’ è un settore economico che rappresenta davvero la pancia del Paese è l’ edilizia. Dal mattone l’ economia italiana ha tratto costante nutrimento al Nord come al Sud, il 90% delle ditte è una piccola e media impresa, i muratori hanno lasciato il loro segno persino nella cinematografia, dal neorealismo all’ ultimo film di Daniele Lucchetti, «La nostra vita». Le contraddizioni dello sviluppo italiano sono passate dal mattone e storicamente l’ edilizia ha rappresentato un importante serbatoio di voti per la politica, specie in ambito locale (quando l’ appoggio dei costruttori valeva un bel gruzzolo di preferenze sicure). Questo mondo non ha mai amato le discontinuità ed è stato sempre filo-governativo. Ha sempre preferito i piccoli passi versus l’ innovazione, il consenso minuto versus i grandi progetti. E oggi questo mondo si sente come abbandonato, tradito, costretto ad opporsi manco lo volesse. Il mattone sa che Bruxelles ha approvato una direttiva per i pagamenti alle piccole imprese ma che ci vorranno 24 lunghissimi mesi prima che sia recepita in Italia. Sa che i sindaci non hanno i soldi nemmeno per piangere e qualcuno di loro ha cancellato anche le manutenzioni ordinarie. Sa che le grandi infrastrutture camminano all’ indietro come i gamberi e il nucleare alla fin fine vanta pochi veri amici e tanti irriducibili nemici. Sa, insomma, che nessuno gli regalerà più niente.

Fonte: Corriere della Sera del 29 novembre 2010

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