Metti insieme BigData e geolocalizzazione, e le possibilità che scaturiscono son davvero infinite: perfino sapere le idee politiche di chi hai intorno. È la “app-politica”: la scarichi, rispondi a un paio di domande, e il tuo profilo politico viene definito. Raccogliendo i dati di tutti quelli che hanno la app, consente a ciascuno di sapere la “temperatura politica” in un determinato luogo. Estendi la ricerca a tutto l’edificio, a tutto il quartiere, a tutta la città: la “app-politica” ti dice, come e dove sono distribuite le preferenze politiche. Rendendo obsoleti gli istituti di indagine demoscopica. Nessun timore: è la fanta-tecnologia di un artista, Douglas Coupland. Ma non è fant-app che il mio smartphone sappia dove sono; ha il calendario e quindi sa dove devo andare tra mezz’ora;ha i dati del Fitbit e sa che stamattina mi sono stancato a ginnastica, e che quindi non andrò a piedi, anche se non piove; cerca i mezzi disponibili e mi mostra le alternative con tempi e costi: tram, car sharing, taxi. Niente Uber,perché sono a Milano, dove adesso i magistrati hanno proibito anche Uber con le berline NCC.
Il bello è che Uber avvantaggia gli utenti anche quando è proibito. Da gennaio, mi ha detto un tassista trionfante, a Milano il servizio di radio taxi avrà un unico numero: da quanti anni si provava a mettere d’accordo le sigle? Pare che si potrà perfino addebitare l’importo sulla carta di credito, come con Uber: e in tutte le città europee MyTaxi (questo il nome della app) è stata comprata da Daimler che già possiede Car2Go (Moovel in USA), Ridescout, Flixbus, Blacklane: da gruppo automobilistico vuol diventare gruppo di mobilità.
Il principio è lo stesso, ma Uber è (in alcuni posti) combattuta, le aziende “tipo Daimler” no. Non certo per la differenza nel modo di selezionare gli autisti, ma per una ragione di fondo. La differenza è che le aziende “tipo Daimler” applicano la tecnologia a business esistenti (il taxi, l’auto affittata), quelle “tipo Uber” la usano per inventare un nuovo tipo di business. I business esistenti sono stati definiti da accordi con il regolatore: nel caso dei taxi, è il comune che vende la licenza, dà e certifica il tassametro, fissa numero dei taxi e stabilisce le tariffe. Sono limitati i vantaggi che la tecnologia può dare ai consumatori quando è applicata a business esistenti. Per avere grossi vantaggi bisogna disintermediare il regolatore o l’incumbent. Cosi è stato per le linee aeree low cost e gli aeroporti: liti infinite, su qualità di piloti e aerei, su condizioni di favore fatte dagli aeroporti minori. Oggi i “campioni nazionali” hanno tutti una propria linea low cost, anche gli aeroporti maggiori cercano di attrarle. La rottura del cartello che imponeva l’unicità del prezzo ha consentito la rivoluzione grazie alla quale milioni di persone possono fare viaggi prima impensabili. La disintermediazione ha dato un valore, come sconto sulla tariffa base, a una cosa che avevo e che non sfruttavo: prevedere i miei spostamenti futuri. Già c’è chi lo applica all’autobus sulle medie e grandi distanze.
È proprio la questione del prezzo al centro della disputa Uber/taxi: nei taxi è una tariffa fissa, che varia solo per fasce orarie, in Uber, è sempre noto al cliente in anticipo, ma è variabile. Normalmente è inferiore a quello dei taxi, ma se c’è grande richiesta, i prezzi aumentano. Gli autisti occasionali, di solito si guadagnano il pane, in certe circostanze intascano somme considerevoli (ci sono stati anche casi scandalosi). In alcune città si è sperimentato di concedere ai taxi di fare degli sconti, ma la cosa è contestata, macchinosa, e scarsamente efficace per aumentare l’uso del mezzo pubblico. Morale: i vantaggi per i consumatori sono modesti finché le tecnologie vengono applicate conservando gli stessi modelli di business. Ce ne vogliono di nuovi, nuovi in confronto a quelli esistenti, quelli che sono stati stabiliti dalle autorità con il potere di dare concessioni: ai taxi come alle autostrade, agli aerei come agli aeroporti.
Fonte: il Sole 24 Ore - 24 luglio 2015