• mercoledì , 25 Dicembre 2024

Se l’Università rottama i professori a 65 anni

Speriamo di sbagliare ma è lecito il timore che qualche spiraglio di demagogia riesca ad influenzare il Pd. Con la suggestione che laddove gli argomenti della ragione non riesconoa prevalere l’ appello populista, di cui – non dimentichiamolo – la destra ha l’ imbattuto copyright, riesca a rianimare gli spiriti. Di qui il ricorso all’ improperio di un personaggio serio e di buon senso come Bersani, ma ancor più grave il documento sull’ Università votato senza discussione dalla stessa assemblea del Pd che aveva applaudito in piedi l’ epiteto contro la Gelmini. Si tratta di un documento proposto da una esponente delle nuove leve, la professoressa Maria Chiara Carrozza, direttrice della Scuola Superiore Sant’ Anna di Pisa, responsabile del «Forum Università Saperi Ricerca» del Partito che lo aveva già illustrato in una intervista alla Stampa. Il clou dell’ iniziativa è individuabile in una «rottamazione» generale dei professori al compimento dei 65 anni (di contro agli attuali 70). Da qui si dovrebbero ricavare risorse capaci di finanziare un cospicuo turn over a favore dei ricercatori. Era stato annunciato che questa innovativa riforma sarebbe stata discussa all’ assemblea nazionale assieme ad altri temi (lavoro, giustizia, ecc.) ma risulta che solo sul tema del lavoro le proteste del professor Ichino sono sfociate in una discussione e votazione a maggioranza dei 700 delegati, ma su un argomento complesso come quello della cultura universitaria (a cui non molto tempo fa Italianieuropei aveva dedicato un appassionato e documentato seminario) è stato ridotto al rango di un qualsiasi odg che si vota in assemblea con un Sì o con un No. Non resta che rifarsi all’ intervista di presentazione, la cui forma e contenuto riecheggiano la animosità antiaccademica propria di alcuni ambienti della destra leghista ed ex-An: «mandare a casa i vecchi» e «fare largo ai giovani!», togliere potere ai «baroni», presentati come anziani nullafacenti, attaccati alle loro cattedre, ecc. Il riferimento al potere dei baroni, per chiunque conosca appena la situazione di disintegrazione del sistema e la metamorfosi delle funzioni e dei ruoli tradizionali della ricerca e degli studi all’ interno delle Università-Aziende, appare come una farsesca ripresa degli slogan dei movimenti sessantotteschi, e infatti viene oggi adoperato in funzione apertamente populista da parte di associazioni studentesche di sinistra e di destra, (in particolare Azione Giovani). Ma colpisce ancora più l’ insipienza del ragionamento che supporta la proposta stessa, e che consiste nella convinzione dell’ effetto benefico che il cosiddetto «shock generazionale» dovrebbe produrre all’ interno di un sistema delicato qual è quello della ricerca e degli alti studi. Secondo la professoressa Carrozza il ricambio di competenze e di esperienze può, anzi deve, realizzarsi attraverso traumatiche liquidazioni di esperienze di gruppi e di scuole, deve prodursi cioè con sostituzioni di stock di personale. Un conteggio approssimativo degli effetti della proposta, se attuata ad oggi, lascerebbe prevedere la sparizione da un giorno all’ altro di circa 6.000 professori, di cui 4.000 ordinari, con una falcidie di specializzazioni scientifico-disciplinari difficilmente recuperabile o risanabile, e con un abbassamento di qualità e di prestigio globale della nostra Università. Nel quinquennio successivo si aggiungerebbero altri 5.000 pensionamenti di ordinari e 3.200 di associati, con un ricambio di circa il 50% dei professori titolari di cattedra. Per valutare la poca consapevolezza che sovrintende questa trovata, va ricordato che l’ esodo fisiologico, al compimento dei 70 anni, prevede peri prossimi dieci anni l’ uscita di 9000 ordinari e 5200 associati e che il bilancio risultante da questo esodo assicura già un ordinato scorrimento di carriera per gli attuali ricercatori, nonché un reclutamento di nuovi ricercatori a tempo determinato.

Fonte: Repubblica 24 maggio 2010

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