• mercoledì , 25 Dicembre 2024

Se l’Europa scopre i propri errori

La logica della crisi europea è quella di decisioni minori che all’inizio rotolano verso valle come una palla di neve. Poi diventano una valanga. E dopo anni distruggono interi Paesi. Anche la paradossale situazione politica italiana può essere capita risalendo a monte lungo il tracciato della crisi europea. Risalendo, per l’esattezza, all’agosto del 2011 con la famosa lettera della Bce al governo Berlusconi.
La ettera impose, oltre a un insieme ambizioso di riforme strutturali, di anticipare il pareggio di bilancio di un anno, dal 2014 al 2013. Fu un errore. L’eccesso di tagli di spesa e aumenti di imposte finì per aggravare la recessione italiana e fece peggiorare il debito pubblico.
Ma l’errore nasce da un problema di credibilità politica italiano. La Bce era disponibile ad acquistare titoli pubblici italiani, rifiutati dagli investitori, a patto di un serio impegno del governo in carica a mettere in sicurezza i conti dello Stato. Ma non poteva fidarsi. Nel giugno 2011 il governo aveva infatti presentato una manovra di correzione dei conti corposa, 47 miliardi di euro, ma rinviata a un incerto futuro. L’80% circa delle tasse e dei tagli era infatti spostato in avanti al biennio 2013 e 2014 e sarebbe ricaduto sulle spalle di un futuro e ignoto governo dopo la fine della legislatura. Che cosa sarebbe successo se il nuovo governo non avesse riconosciuto gli impegni presi? Per questa ragione la Bce dovette imporre che la correzione di bilancio avvenisse entro la legislatura in corso e che quindi il pareggio di bilancio fosse raggiunto entro il 2013.
Nonostante la pressione dei mercati, della Bce e del G-20, il governo Berlusconi non seppe realizzare la manovra di correzione. La fiducia nell’Italia vacillava. Il 23 novembre 2011 perfino la Germania fece fatica a collocare le sue obbligazioni pubbliche per il solo fatto che erano denominate in euro, una moneta il cui futuro era ormai diventato dubbio. Furono queste le premesse della nascita del governo Monti e degli impegni ereditati.
Monti prestò la sua credibilità europea al rispetto di impegni che erano troppo sbilanciati dal lato del rigore e nell’emergenza aumentò la pressione fiscale. L’Italia evitò il default e l’euro si rinsaldò grazie alla Bce. Tuttavia gli effetti sull’economia italiana dell’anticipo del pareggio di bilancio furono come sappiamo molto negativi.
Secondo calcoli recenti, gli effetti sulla crescita dei tagli alla spesa, i cosiddetti “moltiplicatori fiscali”, sarebbero stati più favorevoli di quelli degli aumenti delle tasse. Quello che si scopre ora è però soprattutto che l’effetto depressivo è molto superiore al previsto (e in valore più alto di quello che si ha con politiche espansive). È probabile cioè che anche una correzione di bilancio dal lato delle spese non avrebbe cambiato di molto la situazione, in assenza di politiche di crescita interne, riforme strutturali, e afflussi finanziari esterni. L’austerità infatti sta colpendo tutti i Paesi indipendentemente dalle loro diverse politiche. Nel corso del 2012 il debito pubblico italiano è aumentato del 6,4% del Pil, quello francese di quasi il 5% e quello spagnolo del 7,5%. I dati non sono ancora definitivi ed è possibile che siano anche peggiori.
La Commissione europea prevede ora un aumento ridotto del debito italiano nel 2013 e un ritorno alla crescita economica nel 2014. Ma sappiamo tutti che si tratta di una speranza più che di una previsione. Se alla fine i conti fossero rivisti al ribasso quanto negli anni passati, l’Italia si troverebbe nel 2014 con un debito pubblico tra il 130% e il 140% del Pil, con la Francia a non molta distanza. Per ridurre il debito bisognerebbe avere una crescita nominale del 3-4% e un surplus primario al livello attuale. Si tratta di uno scenario plausibile forse nel 2016, ma se i tassi d’interesse non scendono subito, quale sarà allora il livello del nostro debito?
A ben vedere c’è poco di incomprensibile nell’insofferenza degli elettori italiani nei confronti delle tasse, dell’Europa e dell’establishment. Si tratta della conseguenza degli errori di molti anni. E soprattutto dell’assenza di una spiegazione pubblica di quanto è avvenuto. Ci avvitiamo in Europa tra Nord e Sud e in Italia tra ideologie e fantasie, anziché riconoscere gli errori commessi.
Quelli italiani li stiamo pagando in modo sproporzionato, in termini sia economici sia politici. Gli errori commessi dall’Europa restano più nebulosi. La riduzione contemporanea di debiti pubblici e debiti privati anziché far aumentare il risparmio lo fa calare insieme al Pil. La riduzione dell’offerta di credito a famiglie e imprese è il meccanismo attraverso cui il keynesiano “paradosso del risparmio” si è perfezionato ai giorni d’oggi. La Bce deve poter fare di più per interrompere il circolo vizioso. Non si tratta di arrivare agli estremi della Fed, ma di prendere atto che il credito non circola in Italia.
Da parte sua la Commissione sta facendo primi passi incoraggianti: ha modificato la valutazione dei disavanzi tenendo conto del ciclo e all’ultimo Eurogruppo ha proposto l’analisi della “qualità” della spesa pubblica (una proposta che Franco Bruni avanzò con chi scrive molti anni fa) per pesarne gli effetti sulla crescita. Il passo successivo è facilitare quegli investimenti essenziali alla ripresa dell’economia. Berlino e la stessa Bce si oppongono con veemenza a scorporare gli investimenti dal disavanzo. Temono la zona d’ombra in cui si scrive investimento e si intende spesa pubblica. Ma di questo passo l’unico investimento accettabile sembra quello di finire sotto a un Tir.
Questa opposizione francofortese non può combattere la realtà senza finirne travolta essa stessa. Purtroppo bisognerebbe fermare le palle di neve quando cominciano a rotolare. Far risalire a monte una valanga non è mai stato facile.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 6 marzo 2013

Articoli dell'autore

Commenti disabilitati.