Da nove giorni decine di migliaia di ateniesi stavano circondando ogni sera il Parlamento greco. Rivolgevano insulti e sputi ai suoi membri, sia di Governo sia di opposizione. Su questo sfondo nelle ultime ore i Paesi europei hanno preso la decisione di rinnovare il loro aiuto alla Grecia. La trojka Ue-Bce-Fmi ha di fatto accantonato l’ipotesi di un default e ha quindi aperto una fase di reciproco impegno che restituisce credibilità anche alle danneggiate istituzioni democratiche ateniesi.
Basterebbe prestare l’orecchio ai cittadini per capire che questi sono giorni carichi di destino non solo e non tanto per l’euro, quanto per la politica in Europa e nei suoi singoli Paesi, Germania e Italia incluse.
Non si capirebbe per esempio l’atteggiamento di Berlino nella crisi europea se non si tenesse conto dei riflessi politici sulla Germania. Perché mai buona parte della coalizione di Governo ha insistito tanto per un default greco, pur sapendo che un terzo delle perdite sui titoli ellenici farebbero capo proprio alle banche e ai contribuenti tedeschi?
I tedeschi sono disposti e lo hanno fatto a mettere sul tavolo aiuti finanziari eccezionali per soccorrere altri europei nel momento del bisogno, ma non accettano che gli aiuti si ripetano anno dopo anno come in fondo sta avvenendo in queste ore con un nuovo pacchetto di aiuti a 12 mesi dal primo.
Sarebbero colti dalla sindrome del “pozzo senza fondo”, lo sperpero di risparmi senza risultati. Un inganno politico. Merkel lo sa ed era tentata di amputare una volta per tutte i tempi dell’intervento europeo verso la Grecia anche a costo di un taglio dei crediti dei tedeschi. Solo l’opera di convincimento della Bce ha fatto da barriera a questo azzardo.
La Germania è circondata da Paesi che hanno visto negli ultimi vent’anni crescere formazioni politiche populiste e antieuropee. È l’unico Paese che ne è rimasto al riparo. Ne conosce e riconosce il pericolo. Entro dieci anni, forse prima, potrebbe capitare anche sul territorio tedesco. Nel quadro politico sociale europeo di oggi gli elettori, proprio come i mercati, reagiscono repentinamente. I partiti tradizionali perdono o guadagnano fino al 40% dei loro elettori da un voto all’altro. Rotte le identificazioni ideologiche, i cittadini si sentono più distanti dal potere e sospettano delle caste: in Germania soprattutto dei banchieri.
L’improvvisa scelta anti-nucleare del Governo di Berlino e l’imbarazzante isolazionismo di politica estera corrispondono a una debole astuzia con cui la cancelliera cerca di addomesticare l’Angst e il rischio populista. Una strategia, che qualcuno chiama “Merkelismo”, che accompagna anziché guidare. Nel caso dell’euro ha avuto successo, ma solo accettando i tempi lunghi e i linguaggi brevi dettati dal sentimento popolare.
In Grecia i cittadini protestano contro i simboli della democrazia che per loro sono diventati solamente sedi della casta. Gli esorbitanti privilegi delle tzakia, le famiglie a capo della politica. Il controllo del Paese da parte di pochi imprenditori ed editori. La giustizia al guinzaglio. Non una sola azienda pubblica che non perda soldi. Le 18 mensilità di alcuni funzionari. Non sorprende che la protesta popolare abbia un linguaggio inaudito: secondo la Reuters, l’80% dei greci vuole estese privatizzazioni pur di togliere lo Stato dalle mani della casta.
In tre anni la crisi è transitata da quella che Nietzsche chiamava la “bianca casta” della finanza alla casta degli “intrecci corporativi”, a cui ha fatto cenno Mario Draghi nelle sue Considerazioni. A ben vedere anche in Italia c’è stata in questi giorni un’eclatante reazione politica che non è facile disporre solo lungo il rassicurante asse della politica di destra o di sinistra, ma è parsa sospinta dalla reazione popolare agli abusi castali e personali di chi governava.
L’asfissia dell’informazione e il discredito gettato sulla giustizia hanno fatto sentir indifesi i cittadini, mentre sentivano sulla loro pelle che il Paese era insabbiato. In Spagna le piazze degli “indignati” denunciano le rassicurazioni ingannevoli di fronte al furto di futuro dei giovani.
Nel ricevere il premio Carlo Magno ad Aquisgrana, Jean-Claude Trichet ha invocato anch’egli una ridefinizione delle responsabilità della politica. Il presidente della Bce vede la politica in Europa come riflesso dell’interdipendenza economica e quindi come controllo reciproco dell’uno sull’altro. Fino a sottrarre ai politici che si dimostrano incapaci il governo dell’economia per affidarlo a un comune governo europeo che agisca per gli obiettivi di lungo termine di ogni Paese.
Anche la “predica” a Roma del suo successore ha seguito la traccia degli interessi duraturi del Paese, linee d’azione rivolte a cambiarne la struttura produttiva. Ha invocato un’unità d’intenti che non è solo tregua nello scontro politico, ma ricerca duratura di un progetto per il Paese.
In meno di tre anni la crisi finanziaria ha fatto detonare la crisi della politica nazionale, come la conoscevamo finora. Per quanto screditate, le agenzie di rating puntano il dito proprio sul “rischio politico” alla periferia dell’euro area e lo declinano come incapacità di riforma e come debolezza dei controlli esercitati da stampa e giustizia sui poteri nazionali.
La troika (Ue-Bce-Fmi) chiede ai Parlamenti dei Paesi in crisi sostegno bipartisan alle riforme. La “soluzione complessiva” che la Ue ha disegnato per uscire dalla crisi ha i caratteri di una cornice entro cui le politiche nazionali possano svolgersi responsabilmente e recuperare credibilità.
In questo senso la comune azione europea, anche quella di queste ore, rappresenta una risposta alla crisi della politica nazionale. Ma da sola non basta se per rispondere alla propria crisi la politica ha solo nostalgia di se stessa, apre “i cordoni della borsa” per comprare il consenso o rinsalda la casta degli interessi intrecciati. Sembra così che corra a chiudere la serratura di casa di fronte a un terremoto.
Se l’Europa ha mal di casta…
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