• domenica , 22 Dicembre 2024
Se il Bail-In va riformato, occorre la moratoria del provvedimento

Se il Bail-In va riformato, occorre la moratoria del provvedimento

di Paolo Savona.

Ho provato un senso di sollievo nel leggere l’Intervento effettuato dal Governatore Visco al 22° Congresso Assiom Forex, lo stesso con cui ho accolto l’accordo tra il Ministro Padoan e la Commissaria Vestager, perché inviano un messaggio ai risparmiatori che essi hanno raggiunto la coscienza che qualcosa non funziona nel nuovo regime di risoluzione delle crisi bancarie e intendono modificarlo, come peraltro previsto dall’accordo europeo sul bail-in.

Il mercato ha mostrato però di non aver fiducia in questi ripensamenti e, pertanto, occorre un atto più incisivo, come quello di dichiarare una moratoria del provvedimento. D’altronde, se le banche italiane sono solide e la ripresa è in atto, come le autorità ripetono in continuazione, quali pericoli possono correre i conti pubblici se così si decidesse?

La speranza è ora che la revisione stabilisca correttamente lo scopo del provvedimento, evitando che esso coincida con quello di scaricare sulle spalle dei risparmiatori gli errori di governo dell’economia, ma di proteggere il risparmio affidato alle banche, così come quello che passa dalle loro mani o da quelle del mercato. Visco afferma infatti che il “contrasto” nell’impostare il bail-in era “il mantenimento della stabilità finanziaria e la prevenzione di comportamenti opportunistici” e che “l’orientamento prevalso nelle sedi internazionali … ha posto l’accento sul secondo obiettivo”, come se i disastri finanziari per aver seguito questa impostazione lasciando fallire la Lehman americana non avessero insegnato niente in materia di come non si affronta l’azzardo morale e le conseguenze che comporta una tale decisione.

Anche sugli strumenti da attivare nel caso di crisi bancarie occorre un chiarimento. Le materie su cui prendere nuove decisioni sono principalmente tre: come informare i clienti delle banche, quali oneri sono sopportabili dalle banche e che cosa debba essere considerato aiuto di Stato nelle soluzioni delle crisi bancarie.

Invece di concentrarsi sul problema delle informazioni mancanti o conosciute ma non comunicate ai risparmiatori, si continua a ripetere che essi sono ignoranti in materia finanziaria o sono indotti a scelte superficiali (come quelle di acquistare obbligazioni subordinate) perché si sentono protetti dallo Stato. Quante volte le autorità hanno ripetuto che la ripresa era “dietro l’angolo” o si intravedeva “in fondo al tunnel”, inducendo a ritenere che anche le banche si sarebbero riprese, mentre le sofferenze aumentavano; ciò ha causato ritardi nella soluzione delle crisi e delle sofferenze bancarie, rendendo impraticabili gli interventi dello Stato effettuati da molti paesi-membri dell’UE, a cominciare dalla Germania.

Di chi è la colpa se la clientela bancaria riteneva d’essere garantita? Quante volte la Banca d’Italia ha ripetuto, anche nelle sedi ufficiali, che la situazione delle banche in difficoltà era sotto controllo, per poi permettere che si infliggesse a uno sparuto gruppo di obbligazionisti subordinati una lezione, applicando nel dicembre 2015 una norma più vincolante che doveva entrare in vigore il 1° gennaio 2016?

Si ripete inoltre che i depositi fino a 100 mila euro sono garantiti dal Fondo tutela depositi. Ciò è formalmente vero, ma l’applicazione è incerta se non si prevede che cosa accade al sistema bancario se gli interventi superano un dato importo, come sarebbe stato se, invece di anticipare 3,4 mld sotto forma di credito per dare una soluzione alle quattro banche in crisi, fosse stato richiesto un intervento del Fondo tutela depositi, dopo quello già disposto per la banca Tercas. Basta tenere presente il grafico che ero solito elaborare sulla base dei conti delle banche associate al Fondo tutela depositi per capire le conseguenze: esso indicava quante altre banche entravano in difficoltà nell’ipotesi di interventi di dimensione crescente, evidenziando che, oltre un certo limite, non certo teorico, si poteva causare una crisi sistemica che avrebbe inevitabilmente richiesto un intervento dello Stato.

La correzione che si deve introdurre al provvedimento varato deve prevedere un meccanismo di intervento pubblico e non dover ricorrere come di consueto nelle crisi europee, ad affannose e lunghe trattative che risolvono solo a metà (cioè non risolvono) il problema.

Vi è infine un terzo punto da risolvere, quello di conciliare il trattamento degli aiuti di Stato previsto dalle interpretazioni europee con la soluzione delle crisi bancarie nella prassi italiana. Le nostre autorità insistono che i fondi usati a tal fine sono quelli delle banche e, quindi, sono fondi privati. Quale sia il problema è noto: i dubbi della Commissione europea provengono dal ruolo svolto dalla Banca d’Italia e dal MEF nelle procedure di risoluzione delle crisi, facendo uso del FITD come un fondo al quale attingere soldi secondo istruzioni delle autorità. Se si vuole veramente risolvere il problema, si deve attribuire il compiuto di guidare tali scelte a chi mette i soldi, evitando così il potenziale conflitto di interessi oggi esistente tra lo svolgimento del compito di vigilanza e quello di risoluzione.

Non vi sarebbero obiezioni da parte della pubblica opinione se la revisione del bail-in contenesse le regole per conciliare le esigenze di protezione del risparmiatore con la lotta ai comportamenti opportunistici, mentre vi sarebbero se questi comportamenti opportunistici riguardassero le autorità, che si sgravano della responsabilità dei propri errori. Ultimamente si legge e si sente lo Stato affermare che i depositi postali sono garantiti, facendo finta di ignorare che la nascita dell’euro – di questo euro – trasferisce i rischi dal cambio ai titoli sovrani, di cui il risparmio postale è parte, per giunta fingendo di ignorare che si va discutendo a livello europeo se è lecito consentire alle banche di valutare i titoli pubblici, di cui il risparmio postale è parte integrante, come non rischiosi. La Banca d’Italia comunica che ha risolto 100 crisi bancarie dopo lo scoppio della crisi finanziaria americana; può affermare che ha informato la clientela dei rischi che correva?

Su quali fondamenti etici e pratici si basa la richiesta di cambiare il regime di soluzione delle crisi bancarie senza risolvere questi problemi? Ripeto ancora una volta la frase detta da Guido Carli nel corso di una riunione del Comitato interministeriale del credito e risparmio, che credo riecheggi nelle parole rivolte da Renzi all’Europa: “ricordatevi che gli italiani non sono cretini”.

Ci sarebbero molte altre cose da dire sull’argomento, ma bastano gli argomenti avanzati per evidenziare l’urgenza di una moratoria del provvedimento e della creazione di una commissione indipendente che studi la tutela del risparmio al fine di ridare fiducia ai mercati. Naturalmente non mi illudo che la Commissione faccia qualcosa sul primo e sul secondo dei problemi aperti, anzi si legge che ha sconfessato la promessa di rivedere la direttiva avanzata saggiamente dal Commissario Lord Hill. In ogni caso, l’Italia ha il dovere di sollevare il problema evidenziato da Visco proponendo ufficialmente le correzioni che ritiene necessarie, ma rendendole credibili mutando i centri di responsabilità delle scelte di risoluzione delle crisi bancarie.

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