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Se ci supera il Brasile

Siamo pur sempre la settima potenza economica del mondo, ci eravamo detti spesso negli ultimi mesi, per consolarci della crisi. Non è più così: il mondo cambia ancora più in fretta di quanto ce l’aspettiamo, e il Brasile non eccelle solo nel calcio.
Ora l’Italia è scesa in ottava posizione. I dati del prodotto lordo brasiliano, appena diffusi, non lasciano dubbi sul sorpasso.
I 3675 miliardi di real (anzi, al plurale farebbe reais) conteggiati dal locale istituto di statistica per l’anno 2010 equivalgono, al cambio corrente, a 1595 miliardi di euro. La settimana scorsa l’Istat ci aveva informato che nel 2010 il prodotto lordo italiano è stato di 1548,8 miliardi di euro.
E’ un’altra prova che la crisi ha accelerato il mutamento del rapporto di forza tra Paesi già ricchi e Paesi emergenti. Nel giro di un anno, prima la Cina aveva strappato il secondo posto al Giappone, mentre l’India superava la Spagna; ora tocca a noi scendere di una casella. Conta in questo sorpasso anche un fattore aleatorio, l’apprezzamento della moneta brasiliana nei mesi scorsi; tuttavia inutile illudersi, loro crescono così in fretta che a fine 2011 avranno accumulato un vantaggio tale da assorbire anche una variazione dei cambi piuttosto ampia.
Non si potrebbero immaginare due situazioni più diverse. Noi ci siamo rallegrati di aver raggiunto nel 2010 un +1,3% di crescita, ma di questo passo chissà quando ritorneremo ai livelli pre-crisi. A Brasilia si lamentano che il +7,5% dell’anno scorso «è troppo» (parole del ministro dell’Economia Guido Mantega): la corsa causa inflazione e squilibri vari, cosicché sarà meglio rallentare verso una velocità di crociera del 4,5-5%. I quartieri poveri di Rio de Janeiro e di San Paolo sono, ovviamente, ancora molto poveri. I brasiliani sono 190 milioni, oltre tre volte più numerosi di noi, dunque il prodotto per persona è un terzo di quello italiano; inoltre le disuguaglianze sociali, benché diminuite negli otto anni di presidenza Lula, restano più ampie delle nostre. Ma a spingere avanti è una industria che cresce al ritmo del 10% annuo; e al largo delle coste si è trovato un bel po’ di petrolio.
Di scenari per il futuro se ne possono tratteggiare tanti, e in genere risultano sbagliati, vedi rivoluzioni in Tunisia in Egitto e tutto quello che segue. Proiettando le tendenze attuali, altri Paesi emergenti prima o poi diverranno economicamente più importanti dell’Italia, presto l’India, poi il Messico o la Turchia. Invece di esercitarsi in classifiche, è interessante riflettere su che cosa può cambiare presto. E una caratteristica spicca nella fase nuova che si è aperta: torna in primo piano la scarsità delle risorse naturali, sia minerarie sia agricole.
La crescita industriale dei Paesi emergenti preme sui prezzi, fa rincarare petrolio e cibo anche nei Paesi ricchi; intacca il nostro reddito prima ancora che sia tornato ai livelli di prima della crisi. Nella passata fase della globalizzazione, dovuta soprattutto alla rapidissima crescita del commercio, era possibile ritenere che i vantaggi fossero per la maggior parte reciproci. Ora si comincia a distinguere un fattore di conflitto e di contesa; anche all’interno dei Paesi emergenti, perché quelli che il cibo lo devono importare sono sfavoriti rispetto a quelli che arricchendosi possono permettersi di mangiarne di più.
C’è poi un fattore umano: saremo capaci di accettare, negli anni prossimi, flussi migratori ampi come quelli degli anni scorsi? O non siamo piuttosto, ad esempio in molte parti d’Europa, a rischio di reazioni xenofobiche? Sono queste le incognite che pesano sui prossimi anni. Come scherzava qualcuno, fare previsioni è sempre difficile, specie quando si tratta del futuro.

Fonte: La Stampa del 9 marzo 2011

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