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Scomode verità

L’annuncio dato dal premier inglese David Cameron ha turbato il Regno Unito. Mezzo milione di dipendenti pubblici in meno, in un Paese che ha privatizzato tutto il possibile, rappresentano una misura senza precedenti. Specie se abbinata a un taglio di 20 miliardi di euro dei trasferimenti per il welfare. Che cosa accadrebbe in Italia davanti a un annuncio simile? Se non con le stesse proporzioni, anche altri leader europei stanno indicando ai propri elettorati la fine della spesa facile e di uno stato sociale generoso. Quale che sia il loro profilo politico, quanti e quali siano gli errori che hanno commesso in passato, questi leader mettono a repentaglio popolarità e forse carriera politica. Nicolas Sarkozy e Angela Merkel pensano che un’epoca stia volgendo al termine e cercano nuove strade. Potranno anche sbagliare nelle misure che propongono e nelle tattiche che adottano, ma per una volta la politica europea si mostra responsabile, non si nasconde, non partecipa al gioco dei sondaggi e dei talk show. Più di Sarkozy è significativo che la Merkel vada nella direzione di correggere le politiche della spesa. Dimostra che sono in ballo orientamenti di lungo termine e non scelte a breve. Perché sul piano della contingenza la Germania sembra uscire dalla crisi addirittura come Paese vincitore. Cresce a un ritmo superiore al 3%, i disoccupati sono scesi sotto la cifra simbolo di tre milioni e, come recitava una recente copertina di Der Spiegel, i tedeschi sono gli unici in grado di sfidare la Cina. Cameron e colleghi hanno scelto la responsabilità e intendono spiegare ai propri cittadini che se si vuol conservare quel modello che ha fatto dolce l’Europa bisogna lavorare sui correttivi. Profondi, ma pur sempre correttivi.
Nessuno sta indicando una fuoriuscita dalla storia del Continente e dalle sue virtù. Stanno dicendo che per riprendere la strada della crescita occorre una sosta ai box. Dolorosa, per carità, ma pur sempre finalizzata a una ripartenza. Se dall’Europa volgiamo lo sguardo alla politica italiana dobbiamo registrare, ahinoi, una sfasatura. Il discorso pubblico non è focalizzato sugli stessi temi. L’Italia sta uscendo lentamente, assai lentamente dalla crisi, ed è forte la convinzione di ricadere vittime di quella maledizione che nessun governo di destra o di sinistra è riuscito a esorcizzare: la crescita zero virgola. È vero che reggiamo grazie alla forza di tradizioni come la famiglia e i territori che fungono da grandi ammortizzatori sociali, ma fino a quando? La sussidiarietà quotidiana evita il tracollo del welfare statale, non è però un progetto a lungo termine. Può essere un formidabile compagno di viaggio di una buona politica, non il sostituto. Intanto non si hanno più notizie certe della riforma della pubblica amministrazione che, secondo il ministro Renato Brunetta, avrebbe garantito la riorganizzazione della macchina statale. Intanto le cronache dei Consigli dei ministri raccontano di recital dei responsabili di questo o quel dicastero che chiedono solo di poter spendere. Intanto nelle proposte dell’opposizione rimane forte la tentazione di eludere i vincoli di bilancio. Fatta la somma, non si può non avvertire la mancanza di una o più coscienze critiche, di autorità morali che, senza invadere il sacrosanto terreno dei partiti e della raccolta del consenso popolare, dicano al Paese alcune verità. Quelle scomode. Solo dopo un bagno di realtà si può pensare al secondo tempo, si può progettare la fine della maledizione italiana.

Fonte: Corriere della Sera del 22 ottobre 2010

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