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Sbaglia Fini, nella sua ricetta economica rigore non fa rima con sviluppo

Adesso, proprio quando il Governo aggiunge almeno 5 miliardi ad una legge di stabilità che era destinata ad essere composta solo da tabelle, ci si mette anche il presidente Napolitano ad affermare – davanti ai rappresentati di popolazioni private di tutto a causa dell’alluvione – che non c’è bisogno di eccedere nei tagli, anche se l’Italia soffre di un rilevante debito pubblico. Eppure solo poche ore prime, il Governo “della fame, del freddo e della paura” aveva stanziato 300 milioni a favore delle popolazioni venete, in attesa di poter verificare l’effettiva consistenza dei danni. Ma ormai le cose hanno preso questa piega. E non c’è nulla da fare: il Governo Berlusconi deve cadere e basta.
Ha un senso che il presidente della Repubblica, dopo il crollo della Casa dei Gladiatori di Pompei, sia il primo a dare la stura a quella ricerca dei responsabili che ha finito per suggerire la presentazione di una mozione di sfiducia personale contro il ministro Bondi, come se fosse stato lui a demolire quell’edificio a colpi di piccone?Ma non c’è limite al peggio.
Non so che cosa pensino nell’aver scoperto la linea di politica economica del Fli quelli che hanno avuto la pazienza di leggere, giovedì scorso (11 novembre), la lettera di Gianfranco Fini su Il Sole 24 Ore; ma c’è da non credere ai propri occhi.
Il presidente della Camera, bontà sua, ammette che è necessario il perseguimento dell’equilibrio di finanza pubblica, ma i tagli dovrebbero essere mirati ovvero verticali e precisi e non orizzontali e generici. Su quali poste di bilancio occorrerebbe intervenire, verticalmente e con precisione, non è dato sapere, se non con il solito richiamo alle spese correnti improduttive (quali, di grazia?).
A questo punto, Fini ricorda l’ipotesi di manovre alternative che, ogni anno, Mario Baldassarri elabora con il suo centro studi. Secondo il presidente della Commissione Finanze del Senato, ora esponente del Fli, sarebbe necessario un intervento di portata più ampia: un taglio “verticale” alla spesa pubblica (sulle voci beni e servizi) da 30 miliardi da destinare alla crescita e allo sviluppo, in modo che la ripresa sia più veloce nei suoi effetti e più intensa nei risultati, grazie ad una forte riduzione della pressione fiscale per le imprese e i lavoratori. Tutto bene, dunque, se non per un semplice fatto: che non vi sono le condizioni per un taglio tanto importante incentrato soltanto su alcune voci dei bilanci pubblici, sulle quali, peraltro si sono concentrati, da anni, i tagli di spesa pubblica, magari con scarsi esiti ma non senza alcun risultato, viste le lamentele che di solito accompagnano i commenti delle opposizioni.
Proseguendo oltre, Fini ricorda che ci sono 400mila lavoratori in cassa integrazione e che di qui a marzo ci sono 100mila imprese che rischiano di chiudere. E che cosa mai avrebbe potuto fare il Governo di diverso da come ha agito? Ovvero finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga come nel 2009 e nel 2010 e come si appresta a fare per il 2011? Diciamoci la verità: Fini ha imparato la lezione della sinistra; pensa che siano sufficienti le indicazioni ben costruite per fare una politica alternativa a quella di Giulio Tremonti per il quale sono “i numeri a fare politica”.
Nella sua lettera al quotidiano economico il leader del Fli si avvale di un argomento che, a suo avviso, dovrebbe “tagliare la testa al toro”, come si suol dire con poco ardore animalista.
Il decreto di luglio – scrive Fini – per tagliare 25 miliardi ha ottenuto questo risultato mediante un incremento di entrate di 48 miliardi di euro, 25 dei quali vanno a tagliare il deficit, mentre altri 23 vanno ad aumentare la spesa pubblica, per di più – aggiunge – con un incremento di spese correnti per 26 miliardi e una riduzione in valore assoluto di 3 miliardi di investimenti pubblici.
Se ne deduce, interpretando il pensiero di Fini, che ci sarebbe stata la possibilità di tagliare meno di quanto si sia fatto. Solo che quei 23 miliardi sono serviti non per interventi qualunque o per “sprechi”, ma per finanziare la ripresa e sostenere le famiglie e i lavoratori.

Fonte: Occidentale del 12 novembre 2010

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