«Il meccanismo antispread non può essere automatico, a meno di cambiare le regole». Nei palazzi del potere europeo si riflette sulla configurazione del marchingegno che lItalia chiede allUnione di varare subito per spegnere lincendio sui mercati. Cè del buono nella notizia, vuol dire che la questione è presa sul serio. Meno positivi appaiono i limiti di manovra in tempo breve. La messa in moto dei fondi salvastati, il temporaneo Efsf o il permanente Esm, comporta per statuto una richiesta formale dei governi e la firma di un memorandum di impegni che controbilanci gli esborsi. E un atto politico e poi tecnico. Chi vuole laiuto, deve per forza tendere la mano e pagarne le conseguenze dimmagine.
Il premier Mario Monti ha illustrato chiaramente lidea ai leader europei, ma anche al parlamento. «Si dovrebbe dichiarare un tetto ai tassi dei titoli dei paesi in difficoltà, con l’impegno a intervenire sui mercati in misura illimitata ogni volta che lo si supera», ha affermato. Vuol dire che quando il costo del finanziamento del debito pubblico per chi «abbia rispettato puntualmente gli obblighi che si è assunto in materia di finanza pubblica» diventa troppo alto, interviene una istituzione abbastanza ricca, magari ricchissima, per anticipare «il tardivo riconoscimento che il mercato riserva a questi progressi». In pratica, compra lei le emissioni ad un prezzo più ragionevole. E abbassa gli oneri del debito.
Ci sono tre organismi che possono caricarsi il meccanismo antispread sulle spalle: la Bce, lEfsf o lEsm. La banca centrale europea è il candidato ideale, ha la potenza di fuoco necessaria e potrebbe persino vendere allopinione pubblica il suo intervento come scelta di politica monetaria, visto che tenendo bassi i tassi di mercato contribuisce alla stabilità dei prezzi. Sebbene risultino parecchie pressioni sullEurotower, la sua indipendenza per statuto e Trattato non consente allUe di chiederle un intervento antispread. E una cosa che non si può scrivere ed è meglio non auspicare ad alta voce. Però a Francoforte potrebbero decidere di farlo di loro spontanea volontà. Aiutati magari da una decisione Ue secondo cui, in caso di azione andata male, si porrebbe limpegno a coprire le eventuali perdite.
Sia lEfsf che lEsm potrebbero invece obbedire agli ordini. Con due dilemmi. Il primo è quella della limitata capacità di intervento, visto che nella migliore delle ipotesi lEsm, una volta entrato in vigore nel corso dellestate, potrebbe disporre al massimo di 500 miliardi. «L’intervento deve essere teoricamente illimitato così i mercati non ci provano nemmeno», ha detto Monti. E il caso della Svizzera. Non è il nostro, ora.
Il secondo è nella procedura. Lo statuto dei due fondi impone il giogo della richiesta «di sostegno alla stabilità» (art.13 per Esm) e prescrive che unazione sui mercati non si possa svolgere se non dopo la firma di un «protocollo di intesa». Insomma niente soldi senza condizioni, cosa che richiede un negoziato, tiene fuori dalla porta lopzione del sollievo istantaneo. «Certo si potrebbe tentare di fare in fretta – spiega una fonte europea – magari stabilendo che la condizioni è il rispetto alla lettera delle raccomandazioni annuali dellUe allo stati membro».
Questo non azzererebbe il pedaggio politico. Come si è visto nei casi greco e spagnolo, il ritardo dellazione Ue è dipeso anche dalla resistenza dei governi a ammettere le difficoltà e lanciare il loro «Sos». Anche Monti vorrebbe pure evitare questo passaggio, per quanto formale è un timbro che non piace a nessuno. Si diventa “sotto osservazione”. Così occorre unaltra soluzione, e su questo si lavora a tempo pieno. Il dossier sarà sul tavolo dei leader Ue domani a pranzo. Si avanza? «Mancano 48 ore – ha preso tempo ieri una fonte europea -. E siamo consapevoli delle urgenze».
Salvaspread con la Bce
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