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Roma e Atene pari sono

Il governo potrà scegliere se è peggio che Angela Merkel, cancelliera tedesca sull’orlo di una crisi di nervi, dica ai suoi della Cdu che Italia e Grecia si trovano in una «situazione estremamente fragile». O se il garbato Herman Van Rompuy, presidente stabile dell’Ue, ammetta a una radio fiamminga che si «deve aumentare la pressione» su Roma e Atene «perché realizzino le manovre correttive da loro stesse concepite». O ancora se il numero uno della Bce, Jean Claude Trichet, chieda più severità per chi ha i conti fuori posto, proprio mentre il successore designato, Mario Draghi, ricorda che lo shopping salvifico di Btp effettuato dall’Eurotower «non può essere dato per scontato».
Comunque la si metta, non si vedono segnali confortanti arrivare da oltre le Alpi. Nel giorno in cui le tutte Borse precipitano pagando le incertezze dell’Ue sul futuro della sua governance economica, e quella dei singoli stati sulle proprie strategie di risanamento, la manovra-ter che fatica ad avanzare diviene l’oggetto di una costante pressione esterna. Tutti chiedono al nostro governo di accelerare, di contare su sé stesso più che sulla grazia della Bce che da giorni si svena per acquistare titoli italici per tenerne basso il prezzo. Arduo compito, ieri, visto che il differenziale fra i Btp e i virtuosi Bund tedesco è volato a 370 punti.
Non si sente più parlare di Irlanda o Portogallo. Nelle dichiarazioni che contano in Europa il problema della crisi ha due corni nazionali, quello disastroso della Grecia e quello «preoccupante» dell’Italia. «I mercati – suggerisce Van Rompuy – vedono problemi per la realizzazione dei piani correttivi: l’Europa deve aumentare la pressione su questi due paesi». Si dice che Francoforte abbia allentato la presa per far capire l’antifona a Roma. La riunione della Bce di giovedì è attesa con palpitazione.
Trichet, in un discorso a Parigi, è stato alla larga dalla questione. «Se un Paese non riesce a prendere le decisioni adeguate in termini di risanamento del bilancio, allora dovrebbe essere consentito di imporle a livello centralizzato», ha auspicato pensando alla governance del futuro. Per il presente, è tornato a suonare la carica affinché l’Ue approvi in fretta le decisioni del vertice del 21 luglio, dunque stringa i controlli sulle politiche comuni e rafforzi lo strumento anticrac in modo da consentirgli di rastrellare titoli sul mercato secondario. «Il fondo deve sostituirsi alla Bce in una attività che non è al centro del suo mandato», ha precisato il leader Libdem all’Europarlamento, Guy Verhofstadt.
Mario Draghi è in linea con gli altri europeisti. A Parigi ha spronato a portare avanti l’integrazione a Ventisette «senza ulteriori ritardi», «parlando con una sola voce» perché ogni segnale di mancanza di determinazione può generare pericolose spirali. I mercati ci guardano, aspettando la mossa falsa per colpire. «È giunta l’ora che i governi si assumano le loro responsabilità e agiscano rapidamente per risolvere la crisi del debito sovrano» ha insistito il governatore di Bankitalia, per il quale «non esiste una bacchetta magica» per stimolare la crescita economica, ma in diversi paesi «il potenziale per attuare le riforme strutturali invocate da anni è amplissimo».
Sullo sfondo, continua la battaglia verbale sugli eurobond, strumento di debito di cui molti vorrebbero dotare l’Europa. La thinktank della Nicolas Berggruen Institute, a cui partecipano fra gli altri Mario Monti e Gerhard Schroeder, assicura che la soluzione della crisi europea passa proprio per l’emissione di questi buoni continentali. Standard & Poor’s risponde dicendosi pronta a valutarli «junk», spazzatura. Controreplica dei saggi: «Ciò che oggi è una opzione, diventerà un obbligo».
Di eurobond, governance, caso greco e caso italiano si parlerà dal 16 nella riunione informale dei ministri dell’Economia dell’Ue a Wroclaw, in Polonia. Fonti europee si attendono che in quell’occasione «il ministro Tremonti illustri ai colleghi i dettagli della manovra». Non sarà un esame di riparazione, ma quasi. La Commissione Ue è rimasta l’unica a non sbilanciarsi, a esprimere solo dubbi sui risultati della lotta all’evasione e a ripetere che «valuterà il pacchetto fiscale italiano una volta che sarà definitivo e approvato, non prima». E’ l’ultima chance politica offerta a Roma. L’altra è monetaria e dipende da una Bce che, stando a tutte le fonti, comincia veramente a perdere la pazienza.

Fonte: La Stampa del 6 settembre 2011

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