• giovedì , 31 Ottobre 2024

Robin Hood a Via Nazionale

Robin Hood busserà anche a via Nazionale. E se ne andrà con un
> bell’assegno di qualche decina di milioni di euro. La tassa di Giulio
> Tremonti sugli extraprofitti delle banche (oltre che di assicurazioni
> e petrolieri) toserà infatti anche il bilancio dell’Istituto centrale,
> che davvero di extraprofitti non si vede quali possa avere.
> E anche se banche e banchieri non sono mai stati così in basso nel
> gradimento popolare, e se la Robin tax ha avuto il senso di saldare
> con i fan le promesse della campagna elettorale, allungare le cesoie
> sulla Banca d’Italia appare come un errore, o come uno sgarbo. In
> questo caso non sarà né il primo né l’ultimo. Perché, nonostante il
> servizio attivo e permanente dei pompieri di entrambe le parti, il
> fuoco che cova nei rapporti tra il governatore Mario Draghi e il
> ministro Tremonti non è destinato a spegnersi, riattizzato com’è ora
> da punzecchiature pubbliche, ora da siluri che si muovono sott’acqua.
> Diamine, è libera dialettica, dicono alcuni. Scambio proficuo di
> vedute, sostengono altri. Due personalità destinate a scontrarsi – è
> il coro unanime di chi li conosce da vicino – visto che il ministro è
> tutto impeto, l’altro un glaciale tecnocrate. Vero. Com’è vero che
> Draghi può essere vissuto da Tremonti come un eventuale concorrente
> alla poltrona di via XX Settembre, e viceversa a palazzo Koch il
> ministro è visto come l’eterno picconatore della sua autonomia. Ma in
> nessun altro paese appare così evidente che il “paso doble” tra le due
> massime autorità che reggono le sorti economiche del paese è
> sgraziato, fuori tempo, e con frequenti pestoni. Un fattore di
> debolezza che preoccupa l’establishment. A cominciare dagli
> industriali, che dal “Sole 24 Ore” qualche settimana fa hanno
> bacchettato i due con un sottinteso: “Più contegno, ragazzi, la crisi
> incombe e il mondo ci guarda”. E che le banche, piazzate esattamente
> tra l’incudine di Draghi e il martello di Tremonti, vivono con
> terrore: non sarà che con la scusa dei Tremonti bond, cioè degli aiuti
> pubblici per irrobustire il patrimonio degli istituti, qui si
> allungano le mani sul credito?
> Non è soltanto una preoccupazione per le poltrone, ma per un aspetto
> di cui le banche sono ancora più gelose: l’ambito di decisione su a
> chi dare credito e a chi no.
> Ecco perché intorno al duello Draghi-Tremonti si stanno in realtà
> giocando molte altre partite, che vedono coinvolti interessi e
> soggetti diversi: oltre a quelli dei grandi poteri economici appena
> citati, anche Palazzo Chigi (dove Gianni Letta è sempre attento a
> curare i rapporti con il governatore per conto di Silvio Berlusconi),
> fino ai ministri anti-tremontiani, Claudio Scajola in testa, che
> soffrono del rigorismo del ministro dell’Economia, con la sua smania
> di accentrare la spesa, e quindi vedrebbero con favore una sua
> disfatta.
> Chi dei due ha più alleati? Il network di Draghi, grand commis di
> educazione anglosassone e per un po’ anche banchiere privato in quel
> grande incrocio della finanza mondiale che è Goldman Sachs, appare più
> ricco di quello di Tremonti. Coltiva un feeling solido con il
> Quirinale, e ha lanciato la Banca d’Italia in progetti di
> collaborazione sia con la Gelmini (sull’educazione alla moneta nelle
> scuole) sia con Frattini (entusiasta degli attaché finanziari nelle
> ambasciate). Soprattutto, con il palcoscenico internazionale garantito
> dalla presidenza del Financial Stability Forum, il governatore oggi si
> trova sempre a tu per tu con il mondo che conta.
> Tanto che il “Financial Times” lo ha indicato tra i 50 uomini che ci
> porteranno fuori della crisi.
> Frequentando lo stesso milieu, Giulio Tremonti si è ben presto accorto
> di una cosa: il ministro dell’Economia italiano ha meno potere
> rispetto a quello dei suoi pari grado stranieri, i cui governatori
> restano in ombra. è la Banca d’Italia, per di più pullulante di
> economisti che il ministro “giurista” disprezza, a produrre idee e ad
> attirare interesse. Uno squilibrio del tutto simile a quello che
> Berlusconi lamenta rispetto ai suoi poteri di premier. Come recuperare
> peso? Tremonti potrebbe ambire a una visibilità simile a quella di
> Draghi grazie alla presidenza del G8, ma al momento la macchina non
> sembra procedere a pieni giri. Per di più l’effetto “media” non lo
> premia: se Mario viene intervistato dalla rete internazionale
> americana Cnn (è successo a metà febbraio), Giulio si accontenta di
> dire la sua lo stesso giorno a Radio24.
> Tremonti ha però un solidissimo fronte interno, che si riassume nel
> fatto che tiene i cordoni della borsa. E può in qualsiasi momento
> armare le sue truppe in Parlamento (dove, oltre ai leghisti di Bossi e
> Calderoli, può contare sul presidente della commissione Finanze della
> Camera, Gianfranco Conte, ma persino sugli umori anti-banche di alcuni
> Pd, a cui si è accodato anche Antonio Di Pietro), per sparare contro
> quella che a torto o a ragione viene vista come la banca delle banche,
> cioè Bankitalia. Le questioni sul tappeto sono: chi deve possedere le
> azioni di via Nazionale, e quindi il controllo dell’istituto;
> l’accesso alle sue risorse, cioè le riserve auree che ha nei caveau;
> la vigilanza sulle banche. Le prime due questioni garantiscono la sua
> autonomia (vedi riquadro sopra), la terza il suo potere, ed è chiaro
> che evocarle equivale a dichiarare guerra totale.
> È quello che sta succedendo, in maniera più o meno sotterranea, su
> tutti e tre i fronti.
> È toccato a Fabrizio Saccomanni, numero due della banca centrale, di
> fare da parafulmine dell’ultima sfuriata di Giulio. L’11 marzo, giorno
> di riunione del Comitato di crisi, il ministro parte all’attacco
> chiedendo al rappresentante di Bankitalia di avere informazioni
> specifiche sulla situazione delle singole banche. I dati aggregati
> sull’intero sistema, gli unici che la Vigilanza può comunicare senza
> violare la regola della riservatezza, al ministro non bastano. La
> temperatura sale ma le posizioni non cambiano. A qualcuno sembra il
> replay di una sfuriata che circa cinque anni fa ebbe come cornice una
> riunione del Cicr, e come protagonisti lo stesso ministro e il
> governatore Antonio Fazio. Anche in quel caso la pretesa era di
> accedere alle informazioni segrete nominative degli istituti. Anche in
> quel caso ci fu un niet.
> Perché Tremonti ha ripreso a insistere sullo stesso tema?
> Innanzitutto c’è la preoccupazione sull’andamento della crisi: è vero
> che le banche italiane appaiono meno esposte al contagio, ma non si sa
> mai, visto che lo stesso Draghi, da presidente del Financial Stability
> Forum, ha dovuto fare un appello al sistema bancario
> internazionale: «Tirate fuori i titoli tossici», ancora in gran parte
> sepolti. Senza contare che l’avanzare della crisi può far fallire le
> imprese, le sofferenze sono destinate a crescere e mettere in
> difficoltà banche che oggi non lo sono.
> Ma il chiodo fisso del ministro è appropriarsi del controllo della
> politica del credito. Gestire e pilotare verso l’economia l’erogazione
> dei fiumi del denaro oggi congelati nei conti delle banche. Non
> potendolo fare in proprio senza rischiare di far impennare il debito
> pubblico, Tremonti vuole usare le banche. Dal capitalismo al
> dirigismo. «La storia del credito agevolato non ha dato risultati
> brillanti», ha ammonito pochi giorni dopo Draghi parlando davanti alla
> commissione Finanze di Montecitorio. Dare soldi in base a criteri
> politici, e non in base alle regole dei banchieri che valutano il
> merito del credito, espropria questi ultimi del loro mestiere e mette
> le banche a repentaglio. E poi: chi pagherà se il debitore fallisce?
> Per il sistema bancario la risposta è una: lo Stato. Se volete che
> siano aperti i rubinetti del credito per tutti, allora sia lo Stato a
> dare la sua garanzia alle imprese.
> È su questo nodo che si è trascinata in tutti questi mesi la partita
> sui Tremonti bond. A cominciare dal vincolo del 3 per cento. Le
> banche, chiedeva il ministro, avrebbero dovuto assicurare una crescita
> del credito pari a quella cifra. Realistico a settembre, oggi è un
> obiettivo impossibile. Tolto di mezzo il 3 per cento, il braccio di
> ferro fra Tremonti e le banche è continuato sul codice etico (cioè le
> retribuzioni e i bonus) e la possibilità da parte dello Stato di far
> fuori i vertici delle banche bisognose d’aiuto.
> Provvedimenti popolari, ma l’Abi ha sempre ribattuto che etica e
> governance ogni banca se le decide da sé, e che esiste già la regola
> secondo cui se una banca va in crisi, interviene la Bankitalia per
> commissariarla. Quindi: altolà alle intrusioni della politica, via
> Nazionale basta e avanza.
> È su questa complessa partita che il sistema è entrato in tensione
> fino quasi al punto di rottura, poche settimane fa. Alle pressioni del
> ministro per far accettare le sue regole sui Tremonti bond le banche
> hanno risposto con una graduale riduzione del credito.
> Congiuntura sfavorevole, certo, economia reale in panne, ma è troppo
> malevolo pensare che si sia trattato anche di un colossale braccio di
> ferro? Di fatto, il malumore nel paese è salito, insieme alle
> lamentazioni di privati cittadini e imprese di ogni ordine e grado. E
> ha appannato l’immagine del governo. Quando Emma Marcegaglia, dal
> podio del convegno di Palermo, ha lanciato l’appello: «Dateci soldi
> veri», a lei ha prestato orecchio Berlusconi, non Tremonti. Che ha
> raccolto la palla e fatto subito mille promesse, dal fondo di garanzia
> per le piccole e medie imprese allo sblocco dei crediti che le aziende
> vantano verso la pubblica amministrazione, una cinquantina di
> miliardi.
> Promesse al vento? Dipende da Tremonti, che non è certo tipo da farsi
> tagliare fuori dalle partite che contano. E infatti ha già avvisato i
> banchieri: man mano che chiederanno i soldi al Tesoro, le banche
> dovranno firmare ciascuna un protocollo diverso a seconda della
> propria situazione, e accettare regole specifiche. Attenti a quale
> codice etico mi manderete, ha minacciato il ministro: perché senza
> neppure leggerlo lo spedirò il Parlamento dove sarete sbranati
> pubblicamente se quel codice non convince.
> La seconda mossa è stata mobilitare i prefetti, che sotto l’egida del
> ministro leghista dell’Interno Roberto Maroni, e con la consulenza dei
> dipendenti del Tesoro a livello locale, terranno nel mirino l’attività
> delle banche. Alla Banca d’Italia questa rete di controllori non è
> andata giù. Ma Draghi ha preferito non attizzare la polemica.
> Piuttosto, ha annunciato che sarà palazzo Koch a vigilare sulle
> retribuzioni dei vertici degli istituti con regole ferree, e che si
> appresta a finanziare la rete di uffici dell’ombudsman bancario, che
> farà da conciliatore sui torti subiti dai risparmiatori, sconfessando
> quello finora gestito dall’Abi.
> Poi ha scelto la strada del confronto politico. E con un geniale
> contrappasso ha vestito i panni del vero Robin Hood, spiazzando
> l’avversario: non c’è solo il problema delle banche, ha detto Draghi,
> ma anche quello dei posti di lavoro che svaniscono e della crescita
> dell’economia, per la quale finora si è fatto poco. E così il
> governatore si è ripreso la scena.
>

Fonte: L'Espresso del 27 marzo 2009

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