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“Rivoluzione” – Marchionne: Fiat e lavoratori protagonisti della strategia

In un Paese dove tutto si accomoda la prima “rivoluzione” di Sergio Marchionne sta proprio nella determinazione con cui l’ad italo-canadese ha portato avanti la sua sfida, nonostante le ostilità e le riserve provenienti persino dalla Confindustria. Ha scritto, sul Corriere della Sera del 24 dicembre scorso, un commentatore tra i più attenti ai nuovi processi economici e sociali come Dario Di Vico: “E’ bene che ogni tanto qualcuno rompa gli schemi”.
Con l’accordo dell’antivigilia di Natale sulla Newco di Mirafiori cambieranno i punti cardinali delle relazioni industriali, non solo per quanto riguarda gli assetti contrattuali ma anche, e soprattutto, i criteri della rappresentanza sindacale. Per comprendere la portata dell’innovazione contrattuale basti pensare che, in forza dell’accordo, il contratto di lavoro recupera pienamente il suo ruolo di scambio tra la prestazione lavorativa, le modalità di esecuzione (orari, organizzazione del lavoro, classificazione professionale, ecc.) e i livelli e la qualità della retribuzione e delle altre condizioni normative: tutto ciò nel contesto della realtà concreta di un gruppo industriale, dei suoi stabilimenti ed obiettivi produttivi.
Anche se si chiamerà pomposamente “contratto del settore dell’automobile”, anche se, tra qualche tempo, la Fiat costituirà, nell’ambito della Confindustria (che vuole salvare le apparenze), una Federazione dell’Auto (consorella della Federmeccanica), d’ora in poi i rapporti di lavoro saranno regolati, in pratica, da un contratto aziendale ovvero da uno strumento (erano queste le intenzioni di Marchionne) specifico e finalizzato a realizzare, insieme ai lavoratori, la strategia dell’impresa.
La differenza con l’attuale assetto è presto detta. Oggi il contratto nazionale di lavoro è definito secondo criteri generali ed astratti riguardanti – sia pure con articolazioni interne – un’intera categoria (i cui confini sono stati definiti nel tempo, a partire dal modello corporativo che conferiva alla categoria socio-economica una valenza amministrativa). Non è un caso, infatti, che il dibattito si sia sempre incentrato, dal Protocollo del 1993 all’Accordo quadro del 2009, sui criteri da prendere a riferimento per incrementare le retribuzioni in una chiave più solidaristica ed assistenziale che di carattere produttivo.
La logica che portava a migliorare, il più possibile, le condizioni di lavoro e di vita di un’intera categoria (era questa, al dunque, la funzione “di classe” dei sindacati, riconosciuta dalla stessa Confindustria) finiva per drenare, a livello della contrattazione nazionale, gran parte delle risorse disponibili, lasciando margini ristretti per la contrattazione decentrata attraverso la quale doveva essere compensata la maggiore produttività. In sostanza, però, alla singola impresa non veniva nessun beneficio diretto in cambio degli oneri sostenuti per il rinnovo dei contratti nazionali. La contraddizione era ancor più evidente in quelle aziende (la grande maggioranza) in cui non viene effettuata la contrattazione decentrata.
L’impresa esportatrice, dal canto suo, costretta ad operare in mercati globalizzati – in cui la competizione si svolge secondo i parametri del prezzo e della qualità dei prodotti e dove i costi di produzione costituiscono un problema che ogni azienda deve gestire in proprio in funzione della capacità competitiva dei suddetti parametri – avvertiva da tempo il contratto nazionale come un vincolo incompatibile ed incongruo rispetto alle sue esigenze nella gestione della forza lavoro. La Newco Fiat-Chrysler rompe questo schema e manda un messaggio chiaro al mondo dell’impresa: tornate ad essere padroni in casa vostra ed impiegate le risorse disponibili a retribuire i vostri dipendenti chiedendo loro di svolgere le proprie mansioni secondo le vostre esigenze.Può essere questa una nuova“linea generale”?
Come ha scritto sempre Dario Di Vico, per Marchionne “le relazioni sindacali sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi di mercato e all’ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro”. L’ad del Lingotto non si propone certo di rifondare il sistema secondo modelli precostituiti; vuole risolvere dei problemi pratici per i suoi stabilimenti allo scopo di tutelare gli investimenti che si appresta a compiere. Ed è disposto a pagare meglio un lavoro ritenuto più adeguato. Si ipotizzano miglioramenti retributivi dell’ordine di 3,7mila euro l’anno: un importo, questo, la cui acquisizione, a colpi di rinnovi di contratti nazionali, richiederebbe un periodo di anni. Certo, per ora la sfida di Sergio Marchionne consiste nell’esplicita rottura di un modello, senza che se ne intraveda un possibile riordino su altre basi.
Ma non è compito della Fiat pensare e proporre nuovi sistemi organici. Tocca ai soggetti collettivi – se ne sono capaci – ricostruire degli assetti che tengano conto dei fatti concreti verificatisi in ragione delle nuove esigenze. Quanto ai temi della rappresentanza sindacale, l’atteggiamento della Fiat di riconoscere un ruolo soltanto alle controparti firmatarie dell’accordo è assolutamente coerente con l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che, dopo le modifiche conseguenti al referendum del 1995, recita: “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”.
Non vi è dubbio che il nuovo accordo assuma la fisionomia di un contratto collettivo applicato negli stabilimenti Fiat e che, spetti alle sole associazioni sindacali firmatarie costituire rappresentanze sindacali aziendali. Con questa presa di posizione Marchionne arriva allo scontro decisivo con la Fiom. Lo fa nell’interesse di tutto il Paese. Persino in quello della Cgil. Come ha scritto il già citato Dario Di Vico a proposito della Fiom, c’è “l’impressione che il suo gruppo dirigente nazionale (non più quello torinese) insegua altri progetti, sia focalizzato sull’esigenza di riorganizzare un’opposizione politica e sociale al berlusconismo e non abbia voglia di innovare i ferri del mestiere”.
Purtroppo la federazione dei metalmeccanici della Cgil costituisce un’anomalia, da cui le relazioni industriali devono essere liberate.

Fonte: Occidentale del 26 dicembre 2010

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