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Riportare la Cgil in gioco. La prima sfida per Camusso

Siamo dunque all’anno zero delle relazioni industriali italiane, ci stiamo lasciando dietro un altro pezzo di Novecento. Si condividano fino in fondo oppure no le sue motivazioni e la tattica che ha applicato, Sergio Marchionne ha fatto centro, è riuscito a imporci un repentino cambio di agenda. In tanti e da tanto tempo sostenevano, anche nella sinistra riformista, che non si potesse andare avanti all’infinito portandosi dietro una strumentazione sindacale ormai logora. Con una prassi dei rapporti negoziali che in molte occasioni obbedisce a vecchie ritualità e non riesce a «mordere i problemi», a determinare veri cambiamenti favorevoli ai lavoratori o alle imprese. Marchionne ha sparigliato laddove nessuno forse aveva il coraggio e la forza necessaria per farlo. La Federmeccanica ha nella sostanza accettato l’impostazione del top manager italo-canadese e in questo modo ha evitato alla stessa Confindustria di restare indietro rispetto agli eventi.
Maturato lo strappo siamo però solo all’inizio dell’opera. Fortunatamente fuori dal ristretto perimetro delle grandi aziende meccaniche esistono culture ed esperienze a cui attingere. È difficile infatti spiegare a uno straniero che la Cgil accetta formule innovative e flessibili quando si tratta di lavoratori alimentaristi e invece le aborre quando devono essere applicate tra i metalmeccanici. L’unica spiegazione possibile è che sia passato una sorta di doppio standard, il primo per gli operai normali e l’altro per «i fiommini», che in nome della loro storia evidentemente si arrogano il diritto di rappresentare «la classe». Non delle tute blu in carne e ossa che magari votano per Umberto Bossi. È difficile anche spiegare loro come nel grande universo della piccola e media impresa, che rappresenta più del 90% del nostro sistema produttivo, il conflitto sia ormai un reperto archeologico e stiano avanzando nuove forme di collaborazione tra i Piccoli e i loro operai. È l’economia globale, bellezza. Costringe tutti a rimettere ordine nella gerarchia delle contraddizioni e a individuare i veri avversari.
Facciamo tesoro, dunque, del pragmatismo diffuso che esiste nelle altre categorie industriali e nelle imprese minori ma non sottovalutiamo il confronto di culture che si apre nel mondo del lavoro. La Fiat e l’Indesit dei Merloni, così come gli altri gruppi che chiederanno deroghe al contratto nazionale, daranno il loro apporto di idee e proporranno le loro soluzioni di breve e di lungo periodo. Il sindacato è chiamato ad operare uno sforzo analogo, a nessuno serve che la Cisl e la Uil siano dei punching ball, occorre invece che continuino a dare il loro contributo per costruire qualcosa di nuovo, di durevole e di efficace. Questo ragionamento vale anche, e forse di più, per la Cgil, un sindacato che è leader di mercato e nel corso della sua lunga storia ha saputo fornire grandi esempi di responsabilità e lungimiranza. Siamo alla vigilia di un cambio alla testa della Cgil e per la prima volta il numero uno sarà una donna, Susanna Camusso, che conosce bene i problemi dell’industria italiana e viene dal Nord. Speriamo che non ami l’Aventino e prediliga invece la discontinuità.

Fonte: Corriere della sera 8 setembre 2010

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