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Ricostruire costerà 180 miliardi di Pil, sei mesi di crescita negativa

Il Giappone ferito comincia a contare i danni. Le prime stime di Credit Suissee di Barclays parlano di 180 miliardi di dollari, pari al 3 per cento del pil del Paese. Nomura prevede due trimestri di crescita negativa e una ripresa non troppo vigorosa negli ultimi tre mesi del 2011, Citi prevede una flessione del pil tra l’ 1e il2 per cento nel prossimo trimestre. La Borsa di Tokyo i suoi conti li ha fatti ancora prima, chiudendo la prima giornata attiva dopo il terremoto di venerdì con una perdita di oltre il 6 per cento, mentre la Banca del Giappone ha immesso sul mercato 12 mila miliardi di yen (altri 3 mila arriveranno domani). Ma la tragedia è ancora in corso. La terra continua a tremare e a Fukushima tre reattori nucleari non sono ancora sotto controllo. I conti veri si faranno alla finee c’ è da temere che saranno più pesanti di quelli già drammatici di oggi. Secondo Kenneth Courtis, ex vice presidente di Goldman Sachs e partner e fondatore di Themes Investment Management, uno dei maggiori esperti di economia giapponese, l’ impatto più forte sarà sull’ energia e sui conti pubblici già assai disastrati del Paese. Il governoe l’ opposizione, in una fase di non belligeranza imposta dalla tragedia, stanno valutando l’ imposizione di una tassa per la ricostruzione, ma l’ imponente opera che si prospetta dovrà essere finanziata anche con il debito che, secondo Courtis, potrebbe raggiungere il 250 per cento del pil entro il 2015. Per l’ energia la situazione è difficilissima. Con i danni alle centrali nucleari che hanno messo fuori uso5 reattori, già il 6-7 per cento della capacità produttiva è andata distrutta. Due raffinerie hanno subìto danni sostanziali e altre centrali a gasolio, carbone e gas hanno dovuto ridurre l’ attività. Complessivamente si può calcolare che per un periodo di tempo non brevissimo al Giappone viene a mancare circa il 10 per cento dell’ energia della quale ha bisogno. Già Tokyo e altre città stanno sperimentando una forma di razionamento. Tutto ciò avrà un impatto sui consumi delle famiglie, sull’ attività delle imprese e sulla regolarità dei trasporti pubblici con esiti per l’ economia che è difficile valutare. Per sostituire l’ energia nucleare che manca all’ appello, il Giappone sarà costretto a importare almeno 400 mila barili di petrolio in più al giorno, con un effetto sui prezzi già tesi per i disordini in Nord Africa e Medio Oriente, e circa 25 milioni di tonnellate di carbone l’ anno in più, anche in questo caso con un significativo impatto sui prezzi. Lo stesso accadrà per il gas. La lista non è finita. Il terremoto e lo tsunami che hanno colpito il nord est del Giappone bloccano una catena logistica complessa che coinvolge la Corea, Taiwan e la Cina fino a raggiungere l’ Occidente. Le produzioni petrolchimiche, di auto, di elettronica, sono ormai parcellizzate in centinaia di stabilimenti, basta che alcuni di questi non siano in grado di far arrivare le componenti da loro prodotte là dove sono necessarie per il passaggio successivo perché altri impianti, lontani anche migliaia di chilometri dall’ epicentro del sisma, si fermino. Sta già accadendo, soprattutto nell’ elettronica e nell’ auto. Intanto in Giappone Toyota, Nissan, Honda hanno chiuso le fabbriche per alcune settimane, per valutare i danni e riorganizzare la catena delle forniture. Il dopo terremoto, per l’ economia, comincerà solo in autunno, quando la ricostruzione entrerà nel vivo ridando vigore alla crescita.

Fonte: Affari e Finanza del 15 marzo 2011

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