• venerdì , 18 Ottobre 2024

Ricerca, Imprese, Università, la partita da vincere

LE IMPRESE sono tanto più competitive quanto più dispongono di prodotti tecnologicamente aggiornati o attraenti, e quanto più sono capaci di immettere sul mercato i loro prodotti ad un prezzo più basso. Nel primo caso si parla di competitività di prodotto, di prezzo nell’altro. Ci sono naturalmente alternative intermedie, in cui prezzo e qualità giocano assieme il loro ruolo.
Negli ultimi dieci anni è andata assai riducendosi la nostra capacità di competere sul prezzo legata, in un ormai lontano passato, a un costo del lavoro relativamente minore e al vantaggio di un uso flessibile del cambio, con svalutazioni periodiche, di cui l’ultima si è verificata nel 1992. Quest’ultima condizione ha aiutato le imprese a praticare all’estero prezzi capaci di battere la concorrenza.
Oggi, con l’Euro, ciò non è più possibile.
E allora? Occorre, intanto, puntare a migliorare le condizioni di contesto in cui operano le imprese, a cominciare dalle infrastrutture di base, e su una Pubblica Amministrazione più efficiente. Soprattutto, occorrono imprese capaci di offrire prodotti di migliore qualità e contenuto innovativo rispetto a quelli della concorrenza. Già lo facciamo, si dirà. Il successo del made in Italy altro non è che questo. I prodotti della moda, del tessile, delle calzature, dei mobili, alimentano ancora oggi le nostre esportazioni. Ma ormai non basta più. Nei settori tradizionali, e non solo, i paesi emergenti si stanno attrezzando e la competizione si fa giorno dopo giorno, più dura e difficile. Che fare dunque?
La parte della nostra industria che produce macchine utensili, continua, in verità, ad avere una forte capacità di innovazione ed esportazione. Può sembrare singolare che la gran parte di queste macchine, spesso assai sofisticate e con tecnologie complesse, nascano da una tradizione legata ai settori produttivi tradizionali. Ciononostante è proprio dall’esperienza del produrre calzature, pasta alimentare, tessili e mobilio che nasce la tecnologia delle macchine utensili. Ma c’è di più. C’è una parte d’industria oggi emergente, fatta d’imprese piccole e medie, che ha acquistato posizioni di rilievo, qualche volta a livello internazionale, in piccoli segmenti produttivi. Esse sono leader nel settore dei freni per auto e per aerei, della componentistica idraulica o di quella dell’aerospazio, per fare qualche esempio.
Senza queste realtà di eccellenza, e senza la presenza di un importante distretto della meccanica non sarebbero possibili tanti successi italiani. La lista sarebbe lunga, ma basta dire che il nostro sistema produttivo è più ricco di realtà eccellenti di quanto non si pensi. Si tratta d’imprese che accettano non soltanto la sfida dell’internazionalizzazione, ma anche di andare in Borsa per trovare i capitali necessari alla loro crescita. Esse vanno a cercare la domanda dove si manifesta,spesso su mercati lontani.
La politica economica deve sostenerne non solo la crescita dimensionale, il loro ingresso in Borsa, e la loro internazionalizzazione, ma soprattutto fare in modo che esse siano in grado di continuare ad investire su prodotti innovativi. Un investimento di questo tipo è ad alto rischio ed esige capitali freschi che daranno risultati solo in tempi medio-lunghi.
Occorre perciò che, quando le imprese investono in ricerca e nuove tecnologie, ci sia la possibilità che alle loro risorse possano aggiungersi quelle pubbliche, attraverso un cofinanziamento per la partecipazione al progetto di Enti di ricerca e università. Il rapporto con i distretti produttivi e il territorio è essenziale. I partners per le attività di ricerca devono essere scelti dalle imprese, le quali avranno tutto l’interesse a intraprendere iniziative comuni con università ed Enti pubblici di ricerca particolarmente qualificati nel settore a cui esse sono interessate. L’apertura dei laboratori degli Enti di ricerca a imprese ed Università è un altro modo di realizzare sinergie.
Non è necessario che lo Stato investa risorse particolarmente cospicue in queste iniziative. Non servono macchinosi processi di valutazione, né scelte di politica industriale di settore. Serve un meccanismo si collaborazione stretta tra il mondo della ricerca e quello dell’industria, attraverso il quale ciascuno, mantenendo la propria responsabilità e il proprio ruolo, contribuisca a determinare processi virtuosi di innovazione e crescita.

Fonte: Il Messaggero del 4 maggio 2006

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