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Ricerca e Giovani, la doppia sida da vincere

BISOGNA investire sulla formazione dei giovani e sulla ricerca.Nessuno sembra oggi avere dubbi al riguardo. Ma come farlo? La strategia di Lisbona, sottoscritta nel 2000 dai governi europei, prevede una serie di obiettivi estremamente impegnativi determinati dalla volontà di fronteggiare la sfida rappresentata dalla “società della conoscenza”. Gli aspetti più significativi sono l’aumento al 3% del pil delle spese per la ricerca entro il 2010, nonché l’investimento sulla formazione e sul capitale umano. Cominciamo dalla formazione. Ci sono differenze importanti all’interno dell’Europa. I laureati rappresentano il 10% della popolazione tra i 25 e i 64 anni in Italia, percentuali superiori nel resto dell’Europa e ancor più negli Stati Uniti e in Giappone. E’ sufficiente aumentare il numero dei laureati e la spesa in formazione per ridurre o eliminare le differenze? Non basta. I risultati ottenuti con “l’indagine Pisa” hanno consentito di valutare la media dei punteggi ottenuti da un gruppo di giovani di alcuni paesi europei in matematica, scienze e comprensione di un testo. Ebbene, i dati dell’esercizio indicano che c’è un’assai bassa correlazione tra la percentuale di pil spesa in istruzione ed i risultati ottenuti. Assai maggiore relazione c’è, invece, tra un indicatore dell’efficacia di governo della spesa ed i risultati che se ne traggono. La conseguenza è che la sfida della società della conoscenza è non solo investire di più sul capitale umano ma farlo meglio. Da questo punto di vista è essenziale creare, per un verso, le condizioni per un più ampio accesso alle università, offrire ai giovani meritevoli maggiori opportunità e sostegno e, per altro verso, rendere più efficace l’offerta formativa. I dati disponibili suggeriscono che ancor oggi sono i figli delle famiglie relativamente più abbienti a rappresentare la percentuale prevalente di coloro che frequentano l’università. Tasse universitarie ridotte o abolite per i meno abbienti non sono sufficienti ad incoraggiare agli studi. E neppure lo sono le borse di studio, peraltro insufficienti. Una risposta più efficace può essere il credito allo studio. In principio esso è in grado di fronteggiare non soltanto le spese di iscrizione e frequenza, ma anche le spese di sostentamento fuoricasa. La restituzione del credito avviene al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro. Esso offre un’opportunità importante: dà la possibilità di godere di una maggiore mobilità sul territorio e dunque di una scelta tra le diverse sedi universitarie. Ci sono dei problemi da risolvere, ovviamente. Non soltanto devono essere previste condizioni adeguate allo studente che si indebita, ma anche un contratto equo da tutti i punti di vista. La mobilità studentesca in Italia è modesta, rispetto agli altri paesi europei, in particolare ai paesi scandinavi, ma anche a Germania e Francia. E’ un dato di grande importanza. Senza mobilità non si crea vera competizione tra gli Atenei perché essi contano, in presenza di lauree con valore legale, su un bacino di utenza legato al territorio. La bassa mobilità risente certamente dell’assoluta e colpevole insufficienza dell’edilizia universitaria rivolta all’ospitalità di studenti e professori visitatori, nonché della scelta deleteria di sedi universitarie realizzate in questi anni in ogni provincia del nostro paese. Ma è anche la conseguenza di un modo tradizionale di guardare all’offerta di formazione senza grande attenzione alle sue differenze nonché alle opportunità che essa comporta per le attività future. Oggi la formazione offerta dalle diverse università è molto differenziata, anche troppo, e lo è anche all’interno di uno stesso percorso di studi. Occorre dunque fare molta attenzione alle caratteristiche dell’offerta formativa. Se si sceglie quella che meglio si confà alle proprie aspettative e programmi per il futuro, si finisce per “votare con i piedi” spostandosi là dove c’è ciò che convince di più, piuttosto che ciò che sta più comodamente sotto casa.La mobilità è un punto importante anche per la ricerca. La “Carta” europea dei ricercatori, recentemente sottoscritta da università ed Enti di ricerca italiani, mette in evidenza, tra le tante questioni che affronta, l’esigenza di rendere più attraente l’attività di ricerca, anche creando uno “spazio europeo” per la ricerca. La mobilità è un aspetto imprescindibile della ricerca. Come lo è l’attrazione dei giovani verso quest’attività, fondamentale per il nostro futuro. Ciò significa più risorse a loro dedicate, una regolamentazione chiara del loro status, assieme ad incentivi, salariali e non, per un’attività che non può essere sorretta solo dal grande entusiasmo e dalla dedizione che pure la caratterizzano. Ma soprattutto occorre, nel momento stesso in cui si prospettano tanti pensionamenti nelle università e negli Enti di ricerca, per via dell’età media singolarmente elevata dei ricercatori in servizio, pensare ad un piano straordinario di immissione di giovani, contestuale alle uscite, che certamente non potrebbe che far bene al mondo della ricerca.

Fonte: Il Messaggero del 18 agosto 2006

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