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Riassetto Telecom e scelte industriali

In queste ore gli “stregoni” della finanza sono in piena attività. Stanno celebrando i loro riti esoterici intorno al “sacrificio” che prediligono: Telecom Italia. Tra poche set¬timane, forse addirittura tra pochi giorni, l’assetto della so¬cietà telefonica non sarà più quello di oggi. Cambierà, pro¬babilmente, la composizione dell’azionariato di Olimpia, la scatola creata a suo tempo da Pirelli e Benetton per avere il controllo di Telecom Italia.

Olimpia, che fa capo per l’8o% a Pirelli e per il 20% a Be¬netton, ha il 18% delle azioni Telecom, unite in un patto di sindacato al 3,67% posseduto dalle Generali e all’1,54% che è in mano a Mediobanca. Là Pi¬relli sta trattando per cedere il 30% di Olimpia e scendere co¬sì al 50 per cento.

Tra gli interlocutori la spa¬gnola Telefonica sembra favo¬rita. Secondo autorevoli indi¬screzioni, la sua offerta sareb¬be assai appetibile per il grup¬po guidato daMarco Tronchet¬ti Provera: 2 miliardi per il 30% di Olimpia e una sorta di prelazione sulle attività Telecom in Germania e in Brasile. A span¬ne, gli spagnoli valuterebbero il titolo attorno ai 3 euro.

Ma la partita non è chiusa. France Télécom non si è anco¬ra alzata dal tavolo. Così co¬me il gruppo scandinavo-bal¬tico Telia-Sonera. Sullo sfon¬do si muovono gli indiani di Hinduja e i russi di Sistema. Nelle ultime ore sarebbe spun¬tata anche Lehman Brothers, immancabile quando si parla di Telecom Italia: Ruggero Magnoni si starebbe muoven¬do per conto di una cordata italiana che offre 2,6-2,7 euro per azione.

Qualunque sia l’esito delle alchimie degli stregoni della finanza, la geografia dei soci di Telecom Italia è destinata a cambiare. Non ci sarà più un azionista di riferimento in gra¬do di condizionare da solò la strategia e la gestione ma un nucleo stabile di soci intenzio¬nati a sostenere il manage¬ment e il nuovo consiglio di amministrazione, che sarà no¬minato all’assemblea di aprile. La società è dunque vicina a una svolta, l’ennesima, delica¬tissima.

Sarebbe auspicabile che al¬tri investitori istituzionali de¬cidessero di affiancarsi a quelli già presenti nel patto di sindacato. In questo modo si assicurerebbe ai manager e al board una prospettiva di lungo periodo.

Telefonica, o un altro big player delle tic, entrerebbero con un approccio lungimiran¬te: farsi trovare pronti con un’alleanza già evoluta alla stagione del vero decollo del mercato unico europeo, quan¬do le fusioni tra operatori di vari paesi saranno la norma. Nel frattempo però Tele¬com Italia deve andare avanti per la sua strada. Che non sa¬rà più quella degli anni passa¬ti, caratterizzati dalla massi-mizzazione dei dividendi per ripagare i debiti degli azioni¬sti. Sarà una strada in salita che fa rotta sugli investimen¬ti nella rete di nuova genera¬zione, con oneri per miliardi di euro da finanziare e da ren¬dere remunerativi. Servono una strategia, chiarezza di obiettivi, gli uomini adatti, le risorse necessarie. Guido Rossi ha già dimostrato in passato, alla Montedison e a Telecom Italia, di saper gui¬dare gruppi complessi in pas¬saggi delicati della loro sto¬ria. Ma alle sue spalle deve avere azionisti che lo sosten¬gono senza prevaricare. Al suo fianco deve operare un Consiglio di amministrazione autorevole, magari con un co¬mitato di gestione che colla-bora con il presidente quasi giorno per giorno. E nei ruoli operativi deve poter contare su persone di assoluta fiducia e di incontestabili qualità pro¬fessionali.

In sintesi Telecom Italia ha bisogno di stabilità per poter guardare al futuro con le lenti della strategia industriale, senza l’assillo dei vincoli fi¬nanziari. Ma se Tronchetti Provera e i Benetton facesse¬ro un passo indietro, non sa¬rebbe una vittoria della politi¬ca anche se, dentro il Gover¬no e la maggioranza, la tenta¬zione di prendersi una rivin¬cita nei confronti di chi si è ri¬bellato (sul piano Telecom e su Autostrade) potrebbe es¬sere forte. E non sarebbe ne¬anche il momento, quindi, di rilanciare il piano Rovati o qualche sua variante che por¬ti alla nazionalizzazione del¬la rete fissa di Telecom Italia. Fa bene il ministro delle Co¬municazioni Paolo Gentiloni a escluderlo.

Così come non sarebbe edi¬ficante ascoltare nuove predi¬che sull’italianità da difende¬re nel caso Telefonica acqui¬sisse una quota di minoranza in Olimpia e accettasse di condividere con gli altri soci la strategia di rilancio del gruppo. E’ vero che Telecom non è una società come le al¬tre: l’efficienza delle teleco¬municazioni italiane dipen¬de in grandissima parte dalla su efficienza. Il Governo fa bene a seguirne passo dopo passo l’evoluzione. Anzi, sbaglierebbe a disinteressarsene come molti gli suggeriscono di fare. Ma la vera tutela dell’italianità sta nel rafforza¬mento della governance del gruppo che passa per il coin¬volgimento di altri investito¬ri istituzionali (Generali e Mediobanca hanno già i loro problemi di riassetto), per un patto equilibrato con Telefo¬nica (magari con un italiano nel Cda della società spagno¬la e – perché no – anche con una presenza azionaria) e per una regolamentazione equa che non la penalizzi rispetto ai concorrenti.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2007

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