Il venerdì 13 dei rating ha lasciato alle spalle una furia globale. Sono bollenti gli spiriti alla Commissione Ue, per conto della quale il vicepresidente Michel Barnier, titolare dei mercati finanziari, si dice «stupito dal momento» in cui è giunta la bocciatura del debito di nove paesi europei, fra cui Francia e Italia. Gli pare che Standard & Poors «non abbia tenuto conto dei progressi compiuti» per rafforzare Eurolandia, in linea con Antonio Tajani, responsabile dellindustria, che parla «di attacco a orologeria». LUnione sbuffa e non è sola. Anche Cina e Giappone lhanno presa male, al punto che da Pechino lagenzia di stampa Xinhua avanza «dubbi sulla credibilità delle agenzie di rating». Stavolta la rabbia è senza confini come i mercati.
A poco è servito che la degradazione fosse annunciata e attesa. Nessuno digerisce la tempistica, S&P colpisce mentre i governi sotto tiro della speculazione stanno facendo ogni sforzo per risanare il debito e lEurozona, a fatica, cerca di rafforzare il suo governo, con vincoli stringenti e più coordinamento. Inutile. Lagenzia americana non ci crede, col doppio risultato di alzare il costo dellaccesso al mercato e porre in forse anche la Tripla A dellEfsf, il fondo anticrac temporaneo. Il suo problema è un sistema che giudica poco coeso, privo di vera testa e sullorlo della recessione.
Il commissario Ue per lEconomia, Olli Rehn, «lamenta la decisione incoerente» di S&P. Cerca di essere costruttivo, a cominciare dal fondo salvastati, così chiede alle capitali di valutare se non sia giunto finalmente il tempo di fare sul serio. «Ladeguatezza dei 500 miliardi del tetto complessivo dellEfsf/Esm sarà riesaminata entro marzo», è la formula che gira alle capitali. Non cè scelta, assicura: «La Commissione auspica da tempo che si rafforzi la nostra rete di protezione, nei margini di manovra come nella potenza di fuoco».
Non cè riuscita sinora per le renitenze della cancelliera tedesca Merkel, ma anche per una gestione collettiva troppo cauta della crisi. Non tutti hanno fatto il loro dovere. Il caso greco aperto lo dimostra. Fioccano i sospetti. «Non vorrei che fosse anche la reazione della parte cattiva dei mercati finanziari contro la proposta della Commissione per la Tobin Tax», confessa Tajani a La Stampa. E possibile, la proposta di una tassa sulle transazioni ha generato malumori in ogni dove. Tuttavia lelemento di fragilità a cui il downgrading si appiglia è propria la metamorfosi incompiuta dellEurozona. Cè una moneta comune senza contrappeso politico. Rehn indica la soluzione nei risanamenti nazionali, nella rapida approvazione del «Fiscal compact» che blinda la governance delleuro, nel rafforzamento dei fondi salvastati. «E importante finalizzare appena possibile le caratteristiche e loperatività del fondo permanente Esm perché sia attivo da luglio», aggiunge il finlandese, persuaso come il capo dellEurogruppo, Jean-Claude Juncker, «che se lEsm avrà un suo capitale sarà meno vulnerabile ai cambiamenti dei rating degl stati suoi soci».
Allarma gli europei che lEfsf, il salvastati del 2010, smarrisca la Tripla A come conseguenza della caduta francese e austriaca. Succederà se lazione non sarà rapida, se non si darà un capitale vero allEsm. Ieri lo ha sottolineato anche la donna che tutti accusano, Frau Merkel. Più fonti sottolineano che è stata Berlino a rallentare la gestione delle crisi greca e successive, e che Berlino seguita a sollevare cavilli nel negoziato sul «Compact» che ha imposto allEurozona. «Bisogna accelerare lUnione di bilancio – ha detto -, e far entrare in vigore al più presto un Esm più indipendente dellEfsf». Ottimi intenti. Dovrebbe ripeterli allo specchio. E convincersi ad accettarli rinunciando a qualche dogma rigorista per il bene comune.
Rating, l’Europa furibonda:”Scelta indecente”
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