• domenica , 8 Settembre 2024

Quel segretario catturato dalla piazza

Oggi qui si è aperto il cantiere dell’ antiberlusconismo. Il centrosinistra, per costruire una svolta, non può che confrontarsi con questa piazza Nichi Vendola, Sinistra e libertà La Fiom segna un punto ma non è «la società»: il mondo operaio è più frammentato Il sindacato metalmeccanico si fa partito e la sua piazza «cattura» il segretario Cgil
L’appello finale di Guglielmo Epifani allo sciopero generale è stato un autentico colpo di teatro. Tanto che subito dopo la chiusura del comizio finale è partita la guerra delle interpretazioni. Il leader uscente della Cgil, ventilando che subito dopo la nuova manifestazione del 27 novembre si potrebbe ricorrere alla mobilitazione generale, si è fatto catturare dalla Fiom e ha concesso troppo alla piazza oppure si è limitato a indicare un percorso del tutto ipotetico? Una cosa è certa: nella tradizione sindacale italiana l’ espressione «sciopero generale» ha sempre avuto un suono speciale e una volta pronunciata non è mai stato facile farla dimenticare a chi l’ aveva ascoltata. Poi nella situazione odierna di unità sindacale traballante quelle parole, assieme ai cartelli dei manifestanti contro Raffaele Bonanni, finiranno per ampliare il solco tra Cgil e Cisl-Uil. E rendere più difficile il compito al successore di Epifani, Susanna Camusso. Comunque, in attesa di capire gli sviluppi e di misurare con maggiore certezza il coraggio o la scaltrezza di Epifani, va detto che la Fiom ieri in piazza San Giovanni ha segnato sicuramente un punto. È riuscita, quanto meno per un giorno, a far prevalere dentro la Cgil e dentro la sinistra la sua agenda e il suo punto di vista. Non è poco. Tanto da indurre tutti a un supplemento di riflessione sull’ effettiva natura dell’ organizzazione dei metalmeccanici Cgil. Ebbene, se la Fiom fosse un cocktail potremmo dire che la ricetta è due terzi di politico e un terzo di sociale. In alcuni circoli intellettuali si sostiene che la Fiom sia l’ unico specchio reale del Paese, il solo link esistente tra disagio e mobilitazione. Ma chi sottolinea questo schema in fondo fa un torto al gruppo dirigente dei metalmeccanici. Che invece rappresenta il primo e decisivo ingrediente politico del nostro cocktail. I Rinaldini, i Cremaschi e la new entry Landini vengono da lontano e non è certo un caso che abbiano ancora in piedi, tra i pochi in Occidente, un organismo che si chiama «Comitato centrale». Della più genuina tradizione del Pci coltivano il rigore della politica, l’ analisi sferzante, il centralismo decisionale, la cura dell’ organizzazione. Il tutto però nel tempo è stato abilmente contaminato con l’ ingraismo, una forte «curiosità» per il sociale e per i meccanismi di trasformazione del capitalismo. Se ci pensate bene, in fondo non c’ è nessuna confederazione, né tantomeno categoria sindacale che possa vantare la stessa capacità di riprodurre fedelmente quadri e apparato. Ora il fatto che Rinaldini sia formalmente fuori dalla Fiom e Cremaschi sia solo il presidente del suddetto Comitato centrale conta poco, il tessuto della loro elaborazione e della loro presenza pubblica è cosi fitto che finora ha lasciato poco spazio alle altre anime. Il secondo ingrediente di rilievo è la crisi del Pd. Tutte le volte che in passato il principale partito della sinistra, comunque si chiamasse, è stato saldamente al comando delle operazioni, la Fiom si è dovuta accontentare di un ruolo accessorio, di incarnare al massimo una tendenza. Ieri è stata evidente, invece, la capacità dei metalmeccanici rossi di farsi partito e di attrarre attorno a sé pezzi di ceto politico in cerca di gloria, da Nichi Vendola a Sergio Cofferati. Se un importante esponente del Pd un giorno elogia la Caritas in veritate, l’ altro propone il fisco leggero per le partite Iva e il terzo se ne va bello e contento alla manifestazione della Fiom, la sensazione che emerge non è il rilancio del sincretismo, bensì l’ apoteosi della confusione. È vero, poi, che la Fiom ha dimostrato di essere (anche) il punto di riferimento della complessa galassia dei centri sociali, ma in questo caso l’ operazione è ancora più semplice. Non fa altro che riempire il vuoto creatosi con l’ eclisse di Rifondazione comunista e del suo leader Fausto Bertinotti. Ma veniamo al terzo ingrediente del cocktail, la rappresentanza sociale. La Fiom è la più forte delle organizzazioni dei metalmeccanici e gode di una presenza significativa sia al Nord sia al Sud. Nell’ anno di grazia 2010 anche la figura dell’ operaio è segmentata ed è quasi impossibile tentare una reductio ad unum, come ai tempi di Cipputi. Nella Fiom ci sono operai di tutte le età, tute blu delle grandi fabbriche e anche delle medie. Il patriottismo di organizzazione è piuttosto sentito, mentre più sfuggenti sono i comportamenti politico-elettorali. Quanti di loro votano ancora a sinistra e quanti invece, al Nord, supportano la Lega non è possibile saperlo. Ma vale la pena ricordare che la prima indagine che attestò lo zapping degli operai di sinistra risale al ‘ 91 e partì proprio dalla Fiom lombarda. Per quanto sia insediata nel Paese reale la Fiom intercetta comunque solo una fetta del disagio reale. Parla ai lavoratori concentrati nelle fabbriche e che considerano un valore da difendere il contratto nazionale. La frantumazione del mercato del lavoro ha ovviamente creato nel frattempo innumerevoli figure, le tipologie contrattuali sono difficili persino da catalogare e negli ultimi anni abbiamo dovuto registrare una contaminazione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Si pensi alle partite Iva mono-committente, che lavorano per un solo “padrone”, che non hanno nessun tipo di tutela contrattuale e tantomeno di rappresentanza riconosciuta. Per loro, come è stato detto, in fondo «Pomigliano è tutti i giorni», la deroga è pane quotidiano del quale comunque non si può fare a meno. Considerazioni di questo tipo non devono valere per contrapporre un segmento del disagio a un altro (si dovrebbe anche parlare delle tute blu delle piccolissime imprese che restano fuori del radar sindacale), servono solo a scongiurare le semplificazioni di chi da oggi sosterrà che la Fiom «è la società». Non è così, si mettano il cuore in pace. Il disagio, purtroppo, ha molte altre facce. E quelle più numerose restano invisibili.

Fonte: Corriere della Sera del 17 ottobre 2010

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