• giovedì , 21 Novembre 2024

Quel riassetto di potere dietro il paravento delle privatizzazioni

Il “nuovo inizio” del periclitante Letta, i consigli del Corsera, la liaison con la Cdp e le ambizioni del regista Lupi.
Il “nuovo inizio” di Enrico Letta è affidato in buona parte al rilancio delle privatizzazioni. Non solo e non tanto per il loro valore monetario. I 10-12 miliardi che dovrebbero servire a ridurre il debito pubblico (questo l’impegno di fronte al Parlamento) non sono da trascurare, tuttavia non hanno nulla a che vedere con gli anni 90. Il fatto è che il grosso è stato già collocato sul mercato. Ci sarebbero il 30 per cento dell’Eni (valore potenziale 20 miliardi secondo uno studio della Bocconi) e il 31 dell’Enel (9,4 miliardi), ma sono due pilastri strategici. La Francia ha venduto la compagnia petrolifera statale, la Elf, senza mettere in crisi il suo ruolo mondiale, però là esisteva una Total; qui i Moratti o i Garrone sono dei raffinatori per altro in difficoltà.
La new wave privatizzatrice, dunque, diventa soprattutto un complesso gioco di potere attraverso il quale Letta cerca di creare una propria rete di sostegno. In questo, segue la lezione del suo maestro Nino Andreatta, applicata vent’anni fa da Romano Prodi. Le grandi vendite di allora hanno dissolto un sistema che faceva perno sull’Iri, mettendo al centro le banche e trasformando alcuni grandi gruppi privati, si pensi a Benetton passato dai maglioncini colorati alle infrastrutture. Oggi c’è un blocco economico e mediatico forte che guarda a Letta con interesse; a cominciare dal Corriere della Sera. Dalle sue colonne Francesco Giavazzi e Alberto Alesina non cessano di battere sul tasto liberista. E dicono che non basta. Sostengono che cedere il 3 per cento di Eni non è privatizzare. Tanto meno passare i pacchetti azionari strategici alla Cassa depositi e prestiti, ente economico pubblico. Una critica molto simile a quella indirizzata da think tank come l’Istituto Bruno Leoni e Glocus che ieri hanno presentato un rapporto curato da Carlo Stagnaro e Linda Lanzillotta. Si può fare di più, tuttavia si è riaperta una finestra rimasta chiusa per vent’anni. La destra neoprotezionista e neostatalista già grida alla svendita. E lo stesso Matteo Renzi ha alzato la voce attaccando sia le operazioni di Prodi sia quelle di D’Alema, esempi non scelti a caso; anche il nuovo segretario del Pd ha un reticolo da consolidare.
Nomi importanti della finanza e dell’industria puntano su di lui, per esempio Diego Della Valle che conduce una battaglia su Rcs contro la Fiat e contro Giovanni Bazoli. La matassa è intricata, perché a Bazoli e al suo amico e alleato Giuseppe Guzzetti guardano gli uomini della Cdp. L’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini viene dal milieu bazoliano. Il presidente Franco Bassanini è espressione delle fondazioni guzzettiane. I nuovi poteri sono stati definiti da Giulio Tremonti. Dunque, non si può dire che la Cassa sia lettiana; e tuttavia il presidente del Consiglio le ha affidato un compito fondamentale, diventando così interlocutrice anche del mondo bancario che vi ruota attorno. Tra le novità esoteriche c’è la vendita riservata di quote delle Poste ai dipendenti per poi farli partecipare sul modello della Mitbestimmung. Ma gli interventi più succulenti riguardano i trasporti.
Il ministro Maurizio Lupi si è già proposto come regista, incassando l’appoggio entusiasta di Fabrizio Palenzona, presidente degli Aeroporti di Roma e vicepresidente di Unicredit: “Perché l’Italia riprenda a camminare ci vorrebbero tanti casi come quello del ministro dei Trasporti”, è giunto a dire. La privatizzazione delle Ferrovie può attendere, ha sentenziato il capo supremo Mauro Moretti, ma la vendita del 60 per cento in Grandi Stazioni coinvolge azionisti come Benetton e Caltagirone. C’è poi l’Alitalia: si sta cercando un nuovo partner industriale e tornano in campo gli sceicchi di Abu Dhabi con Etihad. Grandi giochi, insomma, di spessore persino internazionale. Senza contare che il ricorso al mercato può mettere in moto una Borsa pietrificata dalla crisi.

Fonte: Il Foglio del 12 dicembre 2013

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