• sabato , 23 Novembre 2024

Quel che resta dei grandi gruppi italiani

Forse è arrivato il momento di guardare le cose con altri occhi.
Usciamo da sei mesi frenetici, che seguono cinque anni confusi, e
il quadro finalmente comincia a chiarirsi. L’ Italia, aperto il
mercato e fatte gran parte delle privatizzazioni, si ritrova con
quattro grandi gruppi privati, Fiat, PirelliTelecom,
BenettonAutostrade e Generali, e con tre grandi gruppi ancora
sotto controllo pubblico, Eni, Enel e Finmeccanica. La frenesia
degli ultimi sei mesi è la conseguenza del riassetto dei quattro
grandi gruppi privati, che per ragioni diverse l’ uno dall’ altro,
sono stati al centro di operazioni complesse e probabilmente non
rinviabili. Nessuna delle quattro è stata una operazione di
sviluppo, nessuna è stata neanche del tutto lineare né limpida nei
suoi meccanismi. Anche se alcuni di questi riassetti non sono
ancora stati completati, a questo punto è tuttavia finalmente
possibile valutare dove siamo arrivati e in che condizioni.
Sono
stati spesi fiumi d’ inchiostro per commentare le singole
operazioni, per analizzare lo spostamento di gruppi
imprenditoriali da attività aperte alla concorrenza verso settori
monopolistici, o quasi, per constatare la difficoltà della
modernizzazione del sistema finanziario italiano dovuta ai mille
nodi, all’ inamovibilità di alcuni personaggi, ai conflitti di
interesse piccoli, grandi e grandissimi. Non è ancora acqua
passata, ma possiamo ora provare a guardare il sistema con altri
occhi. I quattro grandi gruppi privati sono tutti deboli, più di
quanto non lo fossero all’ inizio di questo lungo processo di
assestamento, Fiat, PirelliTelecom e Benetton Autostrade perché
molto indebitati e Generali perché assai meno ricca di quanto non
lo fosse dieci anni fa. Le ragioni di questo indebolimento non
stanno però (salvo Autostrade) nel riassetto avviato o realizzato
negli ultimi sei mesi, ma negli errori di management e nelle
traversie societarie degli anni precedenti.
Il primo dato
positivo perché qualche dato positivo c’ è è che a un certo
punto non è stato più possibile nascondere i problemi sotto il
tappeto, perché la pressione del mercato e della congiuntura ha
rotto il sistema delle coperture e costretto i vari protagonisti
ad affrontare il riassetto.
Il secondo dato positivo è che il
quadro si è fatto più chiaro, nel senso che le scelte manageriali
e le sfide che aspettano questi gruppi non sono più nascoste dalla
cortina fumogena delle grandi operazioni di riassetto finanziario.
Si potrebbe quasi dire che stiamo passando da una fase in cui ha
dominato l’ ingegneria finanziaria a un’ altra in cui sarà
determinante la gestione. Prendiamoli uno per uno.
La Fiat dopo
un anno e mezzo di confusione ha fatto la sua scelta: ci
concentrerà su auto, camion, trattori e macchine movimento terra
e, salvo la Stampa e la sua quota in Hdp, si venderà tutto il
resto. La diversificazione la famiglia Agnelli la mantiene sopra,
nella Ifil, che è la finanziaria attraverso la quale controlla il
30 per cento della Fiat. Il problema al momento non è
patrimoniale, perché il gruppo ha partecipazioni di valore, ma
industriale, ed è chiaro a tutti, Umberto Agnelli in testa, che se
il problema industriale non sarà risolto si mangerà anche il
patrimonio. Non c’ è più ingegneria finanziaria da mettere in
campo, il gruppo lo si dovrà misurare sulla capacità di Umberto
Agnelli di mettere a disposizione della Fiat le risorse di cui ha
bisogno e sulla capacità del management di gestirla in modo che
produca ricchezza invece di distruggerla.
Nel gruppo
Pirelli Telecom la situazione è inversa ma l’ esito è
sostanzialmente lo stesso. Il problema lì non è economico, perché
la Telecom è molto indebitata ma guadagna abbastanza da ripagare i
debiti, bensì patrimoniale perché nei piani più alti del gruppo a
cominciare da Olimpia i debiti sono molti, le partecipazioni fanno
fatica a pareggiarli e oggi il reddito delle partecipazioni paga
gli interessi ma non il capitale. E allora anche qui la sfida che
ha di fronte Marco Tronchetti Provera è chiarissima: o lui
riuscirà a gestire la Telecom aumentandone il valore (in modo da
rendere più solidi patrimonialmente i piani alti del suo gruppo) e
migliorandone la redditività (in modo da pagare i debiti che ci
sono in Olimpia), oppure prima o poi dovrà passare la mano. Da
questo momento in poi il suo interesse coincide esattamente con
quello di tutti gli altri azionisti Telecom e la qualità della
gestione diventa cruciale.
La situazione è simile per
Benetton Autostrade, buona la redditività di Autostrade, ma debiti
cresciuti molto dopo l’ opa, mentre i debiti non mancano anche
sopra, nelle società a monte del gruppo. Non c’ è altra strada che
concentrarsi sui business principali vendendo il resto e rendere
più efficiente la gestione.
Infine Generali. Il caso è
profondamente diverso ma un’ affinità importante c’ è: negli
ultimi dieci anni la gestione delle Generali non è stata all’
altezza del suo ruolo e il gruppo ne è stato notevolmente
indebolito. La causa è in gran parte nelle scelte che ha fatto
Mediobanca, che è il suo azionista di riferimento. Tra gli esiti
dei cambiamenti che dovrebbero avvenire in Mediobanca ci dovrebbe
essere anche una diversa interpretazione del ruolo di azionista,
quindi possiamo attenderci una diversa autonomia e responsabilità
manageriale del vertice della compagnia. Si parlerà ancora a lungo
di concambi e di scontri di potere, ma dal punto di vista del
sistema paese e del mercato qualche novità c’ è: innanzitutto per
i grandi azionisti di questi gruppi è diventata fondamentale la
capacità delle loro imprese di aumentare il valore e produrre
reddito. Fino a ieri bastava controllarle, magari con molte
scatole e qualche patto di sindacato, e naturalmente essere dentro
il giro giusto. I conti si trovava il modo di sistemarli. Ora non
più, e poiché l’ interesse generale è di avere aziende ben gestite
e non grandi azionisti con i piedi al caldo, questa è una buona
notizia. La seconda novità è che la necessità di ridurre i debiti
spinge i gruppi a vendere quello che non è core business, e quindi
stanno arrivando sul mercato aziende che potrebbero diventare il
core business di altri gruppi, che potendosi concentrare su di
esse magari le gestiranno meglio, e forse avranno voglia di
crescere e diventare grandi anche loro. In sintesi: abbiamo più
problemi che mai, ma ora ci si deve proprio mettere a lavorare.
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Fonte: La Repubblica " Affari e Finanza" del 24 marzo 2003

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