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Quei gemelli perfetti sconfitti da Zuckerberg

Volevano più soldi per l’idea «rubata» di Facebook.
Dopo il no della Corte puntano sulle Olimpiadi.
Adesso per togliersi di dosso l’immagine di ragazzi già invecchiati – gentiluomini aristocratici un po’ tontoloni, ligi a un antico codice d’onore – ai gemelli Winklevoss non rimane che una possibilità: conquistare un medaglia olimpica nel canottaggio, l’anno prossimo a Londra. L’altra opportunità di riscatto – trascinare di nuovo in tribunale Mark Zuckerberg, il nerd con cui si erano associati ad Harvard ai tempi della nascita di Facebook e da cui si sono sentiti raggirati – è tramontata l’altra sera quando un tribunale di San Francisco ha giudicato inammissibile il loro ricorso.
Cameron e Tyler dovranno accontentarsi dell’indennizzo ottenuto nel 2008 da Facebook. Un accordo col quale i fratelli di Long Island sostengono di essere stati truffati una seconda volta, ma che garantirà, comunque loro un risarcimento stimato in 200 milioni di dollari (circa 140 milioni di euro): non propriamente briciole, anche se i fratelli sostengono che, con la società ormai valutata diverse decine di miliardi di dollari, avrebbero diritto a molto di più.
Sono infatti loro, come raccontato qualche mese fa anche dal film The Social Network, i padri dell’idea di rete sociale studentesca su cui è stata costruita Facebook. Sono loro a rivolgersi a Mark, il genio dei computer del campus – un «secchione» fissato coi software, spesso in giro in vestaglia e pantofole di gomma -, per realizzarla. Zuckerberg dovrebbe far decollare Harvard Connection, la società fondata dai Winklevoss assieme a un altro socio, lo studente di origine indiana Diviya Narendra, poi ribattezzata ConnectU.
Ma i gemelli, figli di un professore esperto di contabilità pensionistica, cresciuti in scuole e quartieri esclusivi, sono troppo impegnati nella vita mondana e nelle imprese sportive per accorgersi che il nerd Zuckerberg non solo sta lavorando al progetto con dedizione ossessiva, ma li sta anche fregando: mette ConnectU su un binario morto e, partendo dall’idea di Cameron e Tyler, crea la sua Facebook. Quando se ne accorgono, i Winklevoss potrebbero ancora correre ai ripari, ma il loro senso dell’onore li frena. Non se la sentono di andare alla polizia a denunciare un compagno di studi. Cercano di ottenere lo stesso risultato all’interno della struttura accademica: foderati nei loro «blazer» blu, raccontano quello che è accaduto al rettore. Che, però, li mette alla porta.
La causa vera e propria arriverà più tardi, quando Harvard è solo un ricordo e Facebook già una realtà commerciale: alla fine Zuckerberg, pur convinto che senza il suo genio e la sua tenacia l’idea dei Winklevoss non sarebbe servita a nulla, accetta di indennizzare i suoi ex soci. Un’indiretta ammissione di colpa che frutta a Cameron e Tyler 20 milioni di dollari «cash» e un milione e 200 mila azioni di Facebook.
Quei titoli non sono ancora quotati in Borsa (l’offerta pubblica d’acquisto è prevista per il 2012), ma vengono già scambiati privatamente a prezzi crescenti. Quelli attuali portano a un valore di 180 milioni per il pacchetto azionario dei due fratelli. Un pacchetto troppo esiguo, protestano oggi Cameron e Tyler: si arrivò a 1,2 milioni di titoli sulla base di un valore teorico di 36 dollari per azione. Successivamente, però, i Winklevoss scoprirono che nel 2008, proprio mentre avallava questo calcolo nella causa con loro, in un documento interno Facebook attribuiva a ogni azione della società un valore teorico di soli 8,88 dollari. È su questa base che è stato presentato il ricorso, ma Alex Kozinski, il giudice che presiede la Corte d’Appello della California, ha dato loro torto sostenendo che ogni controversia, a un certo punto, deve essere chiusa. Questa era giunta alla sua conclusione concordata e le ragioni addotte dai Winklevoss non sono tali da giustificare una riapertura. Secondo il magistrato, infatti, il calcolo del pacchetto spettante ai fratelli è stato fatto su una valutazione che, se non è quella originaria di Facebook, è, comunque, per loro molto favorevole. Ai valori attuali (schizzati in alto quando una transazione guidata dalla Goldman Sachs ha portato la capitalizzazione teorica della società oltre la soglia di 50 miliardi di dollari), i due ex studenti di Harvard avrebbero ottenuto un numero di azioni molto inferiore.
I gemelli, che hanno assunto alcuni dei più agguerriti avvocati californiani esperti di economia digitale, non mollano: hanno chiesto che sulla questione si pronunci l’intero collegio giudicante e non il solo Kozinski. Ma da oggi la loro attenzione finirà inevitabilmente per concentrarsi soprattutto sugli allenamenti di canottaggio: dopo il sesto posto conquistato nella finale di doppio alle Olimpiadi di Pechino, quello di Londra è l’ultimo appello per i due giganti che fra tre mesi avranno trent’anni.
Comunque vada, Cameron e Tyler non diventeranno di certo gli Abbagnale d’America: dopo il 2012 verranno ricordati soprattutto per questa pellicola che li presenta come due reliquie di un mondo che non esiste più, campioni di correttezza formale e scarsa concretezza.
«È un’immagine che non ci dà affatto fastidio, ne siamo fieri», dice Cameron. Che, però, nella sua rigidità, non riesce a spuntarla su Zuckerberg nemmeno in termini di simpatia: descritto come un determinato, prepotente imbroglione, Mark recupera accettando di confrontarsi ironicamente con autori ed attori del film.

Fonte: Corriere della Sera del 13 aprile 2011

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