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Quanto costa la divisione

Mentre la crisi finanziaria si diffonde a macchia d’olio sui mercati europei, i leader politici del continente ancora sembrano non aver ben compreso la natura sistemica del problema da affrontare. Le operazioni di salvataggio non coordinate, lontane dal ristabilire la fiducia, alimentano le paure dei risparmiatori e degli investitori e sospingono l’Europa verso una vera e propria crisi bancaria generale. La crisi delle banche renderebbe una profonda recessione inevitabile.
Se l’incontro dei capi di Stato organizzato sabato a Parigi dal presidente francese Sarkozy rappresenta l’annuncio di quel che ci possiamo attendere dalle autorità europee nelle prossime settimane, la situazione può solo peggiorare. La ragione è semplice: non si può arginare una crisi di dimensione europea con misure nazionali non coordinate, le quali non solo appaiono inadeguate, ma anche tra loro contraddittorie.
Dopo la decisone unilaterale dell’Irlanda, vari paesi dell’area euro – la Grecia, la Germania, e ora anche l’Austria, la Danimarca e la Svezia – hanno dovuto annunciare l’introduzione di una completa garanzia dei depositi, senza peraltro riuscire a dissipare le paure dei depositanti stranieri delle loro banche, i quali si interrogano se la garanzia pubblica sarà valida anche per loro.
I pacchetti di salvataggio montati dai governi per la banca belga-olandese Fortis e la tedesca Hypo Real Estate sono crollati su se stessi. Nel caso di Fortis, l’iniezione pubblica di capitale non è stata sufficiente per attenuare le paure degli investitori perché le difficoltà di finanziamento della banca non erano state risolte. Le autorità olandesi hanno allora semplicemente nazionalizzato la “loro parte” della banca, lasciando il Belgio e il Lussemburgo a raccogliere le macerie. Il governo belga, già fortemente indebitato, ha dovuto rivolgersi a una banca francese per raccogliere i resti. Ma questo rischia di spostare il problema altrove, invece di risolverlo: infatti, il risultato sarà un aumento del grado di leverage di BNP-Paribas, anch’essa ormai troppo grande per poter esser salvata dal solo governo francese in caso di bisogno.
Quanto a Hypo Real Estate – una gigantesca banca per i mutui immobiliari che sfuggiva alla sorveglianza bancaria – le banche tedesche hanno ritirato il loro sostegno allo schema di salvataggio elaborato dal governo, quando è diventato chiaro che le perdite potenziali sarebbero state molto più elevate di quanto originariamente rivelato; il governo è stato lasciato da solo a pagare il conto.
Invece di prendere il toro della crisi per le corna, i nostri poco lucidi leader europei si sono dilettati con annunci tesi a calmare le preoccupazione dei risparmiatori inferociti, ma che non contribuiscono a calmare i mercati. Hanno parlato anche dell’esigenza di ammorbidire le regole del Patto europeo crescita e stabilità: un segnale molto forte dell’intenzione di procedere con un approccio puramente nazionale in una crisi che invece ha assunto dimensione sovranazionale.
Ciò di cui invece avrebbero dovuto occuparsi è tutt’altro.
In primo luogo, serve subito uno schema comune europeo per irrobustire significativamente il capitale delle banche europee di maggiore dimensioni. Il mercato monetario all’ingrosso ha sostanzialmente cessato di funzionare, perché le banche non si fidano più l’una dell’altra; anche la raccolta di fondi a scadenze più lunghe sta diventando sempre più difficile. Uno schema europeo che consentisse, o meglio imponesse, un’iniezione simultanea di capitale su larga scala a favore delle grandi banche transfrontaliere è un elemento indispensabile per ristabilire la fiducia.
I fondi necessari – almeno 300 miliardi di euro – dovrebbero essere raccolti sul mercato dei capitali da un’agenzia europea, come la Banca europea per gli investimenti, con piena garanzia dei governi europei. La domanda per questi titoli non mancherebbe, dato che gli investitori cercano disperatamente impieghi sicuri, come ben mostra l’andamento dei titoli di stato un po’ dovunque. Dunque, almeno in una prima fase non vi sarebbe alcun ricorso ai bilanci pubblici nazionali. Questi dovrebbero intervenire per il rimborso solo nel caso di perdite del capitale in conseguenza del fallimento di una banca – che peraltro l’esistenza del fondo renderebbe meno probabile.
E’ importante chiarire che il relativo costo non ricadrebbe su tutti i governi, ma sarebbe ripartito in base a una chiave che rifletta l’origine della perdita: in altre parole, ai contribuenti tedeschi non verrebbe chiesto di farsi carico delle perdite sugli impieghi del fondo dovute al salvataggio, per esempio, di BNP-Paribas, ma solo eventualmente quelli di una (improbabile) insolvenza di Deutsche Bank.
Un’iniezione di capitale nelle banche attraverso un’operazione congiunta dei governi dell’Unione non è ipotizzabile senza stabilire un centro chiaro di responsabilità congiunta per la supervisione e il sostegno della liquidità di banche europee transfrontaliere, che è il secondo elemento cruciale per ristabilire la fiducia. Il punto principale qui è che le autorità nazionali non hanno incentivo a fornire agli altri partner europei le informazioni complete sulla reale situazione delle loro banche. Perché un qualsiasi schema di sostegno su scala europea abbia successo occorre che queste informazioni, come abbiamo già suggerito, vengano centralizzate presso la BCE, che potrebbe attrezzarsi a svolgere questi compiti abbastanza rapidamente.
Speriamo che la violenta scossa che ha investito tutte le borse mondiali convinca finalmente il Consiglio Ecofin – che si riunisce oggi a Bruxelles – ad occuparsi delle cose giuste, proponendo soluzioni adeguate ad evitare in Europa una crisi bancaria su vasta scala.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 7 ottobre 2008

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