Il Consiglio Occupazione e Politiche Sociali dell’Unione ha raggiunto questa settimana l’accordo su una nuova direttiva quadro in materia di informazione e consultazione dei dipendenti (seppure con la possibilità di ritardarne l’applicazione fino a sette anni).
I nuovi obblighi si aggiungono a quelli già previsti in materia da apposite direttive per le società di dimensione europea, le situazioni di eccesso di mano d’opera e i trasferimenti di società, e sono definiti in maniera estremamente ampia. Essi interessano infatti tutte le imprese con più di cinquanta addetti (e gli stabilimenti con più di venti addetti) e coprono: la situazione economica e finanziaria dell’azienda; la struttura e l’evoluzione prevista dell’occupazione e le misure “anticipatrici” quando vi sia un pericolo per l’occupazione; ogni decisione aziendale suscettibile di influenzare l’organizzazione del lavoro e i rapporti contrattuali.
La consultazione deve aver luogo direttamente tra i rappresentanti di lavoratori e i responsabili delle decisioni (leggi: consigliere delegato e consiglio di amministrazione) e proporsi come obiettivo di raggiungere un accordo su ogni misura e decisione rilevante. Le procedure e le forme di informazione e consultazione saranno fissate dagli stati membri; esse dovranno prevedere precise sanzioni (amministrative e pecuniarie) per le violazioni. Le decisioni assunte in violazione degli obblighi della direttiva saranno giuridicamente nulle, salva la possibilità di risarcimento ai dipendenti quando la situazione precedente non possa essere ristabilita.
Tali norme esprimono una tradizione, soprattutto centro e nord-europea, di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese attraverso le loro rappresentanze sindacali; sono apparse meno facilmente applicabili nel contesto delle relazioni industriali “antagonistiche” dei paesi anglosassoni e dell’Europa meridionale. Mentre i principi che le ispirano sono largamente condivisibili, viene da chiedersi se la specifica formulazione rifletta le esigenze di un ambiente economico nel quale la capacità di adattamento e la flessibilità sono divenute requisiti essenziali.
In effetti, la direttiva è formulata in modo da rendere più difficili e costose le decisioni di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale; ritorna una concezione che tende a collocare nell’impresa la responsabilità sociale dei livelli occupazionali, addossandole costi e penalità di eventi che spesso sono fuori del suo controllo.
Accrescendo il costo dei licenziamenti, si rischia in realtà di ridurre la domanda di lavoro. Nei principali paesi europei (ma, a onor del vero, negli ultimi tempi non in Francia e Germania) la tendenza è stata piuttosto quella di ridurre i vincoli per le aziende, spostando i sostegni direttamente a favore dei lavoratori colpiti da ristrutturazioni.
Inoltre, la definizione molto ampia delle decisioni aziendali cui si applicheranno gli obblighi informativi, rafforzata dalla sanzione di nullità “de jure” delle decisioni quando se ne constati il mancato rispetto, rischia di moltiplicare le controversie e generare incertezza nelle decisioni aziendali. Gli effetti avversi saranno certamente più intensi per le imprese di piccole dimensioni.
Le nuove norme sembrano l’espressione di vecchie concezioni, intanto abbandonate dagli stati membri; un costo in più della farragginosità delle decisioni comunitarie, che troppo spesso arrivano non solo tardi, ma anche fuori del tempo e del contesto nel quale erano state concepite.
Fonte: «Il Sole 24 Ore» del 17 giugno