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Putin: “Per l’Europa il gas russo è il più sicuro”

Mosca detta le sue condizioni per i contratti sull’energia “Non interferite con la Libia, si rischia un altro Iraq”.
Lo zar si sente fortissimo, al punto da rinfacciare all’Europa «gli errori storici» commessi in Iran o Palestina, e cercando di imporre un modello di democrazia che non gli pare funzionare nemmeno in Belgio dove, sottolinea con malizia, non c’è governo da mesi. «Non si deve interferire», tuona Vladimir Putin nella sala stampa della Commissione Ue, pensando alla Libia e magari al Caucaso settentrionale. La tensione col padrone di casa José Manuel Barroso esplode quando si parla di energia. Il russo chiede una deroga al principio europeo di separazione fra chi vende e chi distribuisce il gas: «È una confisca». Il portoghese risponde che le regole valgono per tutti e pure per Mosca. Cala il gelo. I due si lasciano male, nonostante i sorrisi.
Putin è arrivato a Bruxelles con tredici ministri, ha siglato una serie di documenti energetici non vincolati, e ammesso che le turbolenze nordafricane «rappresentano una minaccia grave per la crescita economica mondiale». Il suo alfiere energetico Sergei Shmatko, secondo fonti comunitarie, passa al suo omologo Ue, Guenther Oettinger, il messaggio secondo cui «la vicenda libica ribadisce che la Russia è il solo partner stabile su cui l’Ue può contare». Questo, ovviamente, sarà il leitmotiv dei prossimi mesi.
Barroso ha spiegato bene il perché. L’Europa è il primo investitore diretto a Mosca, il volume degli scambi è cresciuto del 30 per cento nell’ultimo anno, «molte nostre imprese possono funzionare e molte delle nostre case sono calde grazie al gas della Russia», da cui viene il 25% dell’import energetico. Non cambia la situazione il fatto che il portoghese giuri che «paghiamo molto e paghiamo bene». Putin ritiene che la sua posizione sia ora tale da consentirgli di mostrare il suo volto più duro. «Se progetti come South Stream fossero stati realizzati – avverte – oggi sareste molto meno preoccupati». Il gasdotto ai cui Gazprom e l’Eni stanno lavorando è l’esempio che brandisce per rimarcare le presunte disattenzioni europee nei suoi confronti. Sa bene che Bruxelles spinge per altre rotte, sui tubi del Nabucco, ad esempio.
E’ qui che tira fuori il terzo pacchetto energia e la questione dell’« unbundling», ovvero il dogma a dodici stelle che impedisce a chi vende metano di essere proprietario della rete che lo distribuisce. «Questa misura danneggia le nostre aziende – avverte il premier russo – potrà avere la conseguenza di aumentare i prezzi. E’ una rapina». Barroso interviene a ruota: «Nessuna discriminazione, vi chiediamo quello che esigiamo dalle imprese europee». Ma Putin ribatte: «La vostre norme di concorrenza rischiano di rendere gli approvvigionamenti più costosi». Il messaggio suona come «cambiate le regole o il dialogo sarà più difficile». Senza contare che l’impianto Ue impedisce ai colossi straniere di acquisire aziende strategiche all’unione del mercato unico.
«C’è una base legale per l’intesa comune – è l’apertura di Barroso -, siamo pronti a chiudere, basta solo trovare un’intesa su quali settori inserire». Il portoghese prova persino a scherzare, a dire che il russo si difende «energeticamente» per definizione. L’altro non ci trova niente da ridere. I due non si piacciono e Wikileaks trabocca di cronache di dissidi personali. Il dialogo, nei fatti, non avanza. E la crisi libica rischia di renderlo ancora più difficile, proprio nel momento in cui bisognerebbe remare nella direzione opposta.

Fonte: La Stampa del 25 febbraio 2011

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