• lunedì , 23 Dicembre 2024

Pubblica o privata, salute cercasi

«Eppur si muove» è un`affermazione di Galileo Galilei in cui sono racchiusi sentimenti confusi e contrastanti che alla fine trovano sbocco in un atteggiamento prorompente di consapevolezza e di assunzione di responsabilità, quando lo scienziato si rende conto che è la Terra a girare intorno al Sole e non il contrario. Nel saggio di Gabriele Pelissero ed Alberto Mingardi (per i tipi di IBL Libri, con prefazione di Giampaolo Galli), l`affermazione di Galileo «tira la volata» all`argomento affrontato:«Come cambia la sanità in Europa, tra pubblico e privato».
Secondo gli autori,facendo propria «una visione d`insieme dell`evoluzione che stanno assumendo i sistemi sanitari in Europa (la ricerca affronta i casi dei seguenti paesi: Italia, Francia, Germania, Olanda e Svizzera, ndr)» non si può non notare il trend «di un crescente coinvolgimento di attori privati nella fornitura di servizi sanitari». Eppur si muove, dunque! E ciò avviene in un contesto in cui i due principali modelli – quello “Bismarck”, basato sulle assicurazioni sociali obbligatorie, e quello “Beveridge”, fondato sul servizio pubblico organizzato e predisposto dallo Stato, il Primo finanziato mediante i contributi sociali, il secondo attraverso la fiscalità generale, modelli peraltro sottoposti a forte e reciproca contaminazione – sono plasmati fin dalle origini dalla mano pubblica, in linea con l`impostazione dei sistemi di welfare europei.
I fenomeni dell`invecchiamento della popolazione e dell`innovazione tecnologica non si sono limitati a sovvertire il quadro delle patologie e a migliorare la tutela della salute dei cittadini, ma hanno altresì contribuito a dilatare la spesa. Per di più anche la globalizzazione sta determinando e determinerà sempre più degli effetti sulle politiche sanitarie dei paesi,destinate a rimanere ristrette nei confini nazionali.
Dai paesi svantaggiati verranno a cercare migliori condizioni di cura in quelli sviluppati e fortemente presidiati dall`intervento dello Stato, come in Europa, mentre sarebbe auspicabile una sorta di delocalizzazione delle cure (specie di quelle odontoiatriche), se nei paesi dell`emisfero meridionale fossero in grado di offrire servizi sanitari qualificati, con una riduzione dei costi.
Si fa comunque notare che i paesi benestanti sono costretti a importare professionisti della sanità dalle nazioni del Terzo mondo essendo quegli impieghi sempre più appartenenti, da noi, al novero dei tanti lavori rifiutati. In Italia, il Ssn non ha più, semmai lo ha avuto, un profilo nazionale, ma si articola, istituzionalmente e nella realtà, in tanti modelli regionali. Ben presto ci accorgeremo che il vero banco di prova del federalismo sta nella santa ovvero nella definizione dei criteri e delle modalità con cui finanziare una voce che rappresenta la parte assolutamente prevalente dei bilanci regionali. Le Regioni non accetteranno mai di assumersi in proprio la responsabilità dell`assistenza sanitaria ai cittadini se non sarà chiarito in partenza come garantire la copertura del fabbisogno.
L`idea dei costi standard e quella dell`ineleggibilità degli amministratori «felloni»(quelli che non sono stati in grado di far quadrare i conti) si riveleranno assolutamente velleitarie, perché «ad impossibilia nemo tenetur». In talune regioni del paese nessuna classe dirigente, quale che sia lo schieramento di appartenenza, è in grado di venire a capo di handicap strutturali al pari di quelli che si riscontrano nella sanità e negli interessi economici e sociali che si riferiscono al settore.
Nel caso Italia meriterebbe un approfondimento un aspetto che, allo stato degli atti, è sicuramente negativo, ma che potrebbe trasformarsi nella leva per una riforma in grado di integrare pubblico e privato. Lo fa notare Giampaolo Galli nella prefazione. In Italia la spesa sanitaria pubblica è pari a circa il 7% del Pil. A quest`ammontare importante e in crescita, si aggiunge un 2% di Pil riferito alla spesa privata; in larga misura out of pocket ovvero a carico delle famiglie, a fronte di un basso livello di organizzazione collettiva della domanda (mediante i fondi sanitari integrativi scarsamente diffusi) e di uso delle po- lizze malattia individuali. Il cittadino, cioè, deve provvedere in è lasciato solo a misurarsi con una sanità pubblica a due velocità, al cui interno è consentito persino l`esercizio della professione privata dei medici (un progetto di legge sta cercando di estendere questo privilegio a tutte le figure professionali sanitarie).
Ma c`è di più. Le risorse out of pocket sono rivolte – con l`eccezione delle cure odontoiatriche – ad acquistare prestazioni e servizi riconosciuti ed erogati dal Ssn e come tali coperti con le tasse.
In poche parole di tratta di spese ripetitive, che i cittadini affrontano due volte, come contribuenti e come utenti. Si pone, dunque, il problema di una «actio finium regundorum» per distinguere quanto spetta al pubblico e quanto può essere svolto dal privato, tenendo conto della tipologia del soggetto assistito, del suo quadro nosologico, della sua età e del suo reddito. Non è più possibile dare tutto a tutti. Così, la sanità privata deve essere coinvolta direttamente e strutturalmente per integrare le prestazioni e i servizi che il pubblico non può più riconoscere ai soggetti che sono in grado di procuraseli, in tutto o in parte, con mezzi propri, ferma restando la garanzia in senso universale delle cure essenziali e particolarmente costose. Nel libro viene ricordato il tentativo di riforma del governo Amato del 1992, rivolto a fornire un effettivo potere contrattuale e di scelta agli utenti, mediante l`allocazione della loro quota capitaria: un tentativo generoso subito travolto dal conservatorismo dominante.

Fonte: Il Riformista del 09 ottobre 2010

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