• venerdì , 22 Novembre 2024

Promuovere esportazioni e internazionalizzazione delle imprese: ma come?

I dati non confortanti di ieri sulla bilancia commerciale extra-UE, illustrati in questa pagina, reclamano una volta ancora una efficace politica di promozione e sostegno allo sviluppo internazionale delle imprese. La crescente globalizzazione dei mercati, lungi dal creare un “mondo piatto”, vede aumentare le distanze tra imprese diversamente capaci nell’affrontare la concorrenza sui mercati vicini e lontani. Globalizzazione e disomogeneità-eterogeneità vanno di pari passo. Un fatto eloquente, documentato giorni fa da Roberto Monducci (Istat) durante la presentazione del rapporto annuale ICE-Istat: negli ultimi tre anni, su 29.000 esportatori “stabili” (che da soli generano il 90% delle nostre esportazioni!) il quartile con la migliore performance di crescita ha visto le proprie esportazioni aumentare di oltre il 30 per cento, mentre il quartile peggiore le ha visto calare di oltre il 23 per cento. E nei primi mesi del 2013 si è ampliato il divario fra esportatori di successo e in flessione.
Le iniziative promozionali collettive (fiere, mostre autonome, missioni), e ancor più l’attività dei vari uffici preposti all’assistenza personalizzata delle imprese esportatrici in Italia e all’estero, dovrebbero dunque essere disegnate in modo tale da valorizzare la parte più intraprendente del sistema produttivo, imprese grandi medie e piccole capaci di sostenere davvero gli inevitabili costi fissi per penetrare e stabilizzarsi sui mercati, e così costruire una immagine credibile e vincente del paese esportatore e investitore. Accanto a queste, occorrono attività mirate ad assistere la nascita di nuovi esportatori (startup). Permane invece in Italia una scarsa coerenza progettuale nella promozione collettiva , con sovrapposizione frequente di iniziative indipendenti nello stesso mercato, che a causa di una partecipazione frammentaria e non selezionata concorrono a mantenere una immagine sfocata, disordinata e spesso mediocre (controproducente) del paese.
Anche per questo il Decreto Sviluppo 83/2012 ha voluto imprimere uno sforzo di coordinamento e coesione tra i diversi attori. Ma il quadro organizzativo che ne è uscito desta non poche preoccupazioni. Diversamente dalla maggioranza degli altri paesi che puntano su un’unica amministrazione ministeriale al vertice del sistema, in Italia la recente riforma ha disegnato uno schema mastodontico, con due ministeri vigilanti accanto alla V Commissione del CIPE, e una nuova “Cabina di regia”, che a sua volta include vari soggetti pubblici e privati, tra cui altri tre ministeri, la presidenza della Conferenza delle Regioni, Confindustria, Unioncamere, Rete Imprese Italia, Alleanza delle Cooperative, ABI. L’attuazione pratica degli interventi è affidata a enti operativi prevalentemente pubblici (in primis la rinata Agenzia-ICE, così come gli enti regionali di promozione, ENIT, Sace e Simest), ma anche privati o semi-pubblici come il sistema delle Camere di Commercio italiane e all’estero, Finest e Informest nel Nord-Est. Per non parlare di Invitalia e il neonato Desk Italia, addetti all’attrazione degli investimenti esteri in ambigua compagnia della stessa Agenzia-ICE.
Non basta. L’Italia complessivamente spende per la promozione collettiva assai meno degli altri maggiori paesi europei , ma la ripartizione dei fondi complessivamente spesi per servizi reali all’internazionalizzazione è stata (in milioni di euro nel 2012): Regioni 100 , Sistema camerale 76 , Ministero Sviluppo 24, ICE 28. Ciò vi sembra coerente col rilancio di ICE e Ambasciate come piattaforme centrali del sistema?. Anche con i vari partenariati-accordi-convenzioni operative, ogni ente erogatore è fortemente geloso delle proprie risorse, semmai quelle dell’ICE sono appetite dagli altri organismi per arrotondare le proprie.

Fonte: Sole 24 Ore del 24 luglio 2013

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