di Mario Baldassarri
Autorevoli esperti di analisi economica e finanziaria hanno valutato le proposte che i vari partiti hanno fatto in campagna elettorale per attirare il consenso degli elettori. Queste autorevoli e, in gran parte, condivisibili analisi hanno dimostrato che quasi tutte le proposte presentano coperture finanziarie spesso fragili e qualche volta del tutto assenti. Ne consegue che appaiono tutte impraticabili perché, fra tagli di tasse ed aumenti di spesa, comporterebbero un aumento dirompente del deficit pubblico con conseguenze prevedibili per un paese con un Debito Pubblico a 2300 miliardi di euro, oltre il 130% del Pil.
Dall’altra parte però la risposta degli elettori nelle urne appare chiara: al Nord vince il centro-destra e soprattutto la Lega; al Sud dilaga il Movimento5Stelle. Magari tagliando con l’accetta le varie analisi post voto, molti hanno quindi constatato che al Nord la gran maggioranza dei cittadini ha seguito la stella cometa della Flat-tax ed al Sud ha seguito la stella cometa del Reddito di cittadinanza. Questa sintesi può apparire anche eccessiva e grossolana. Sta di fatto però che, al netto delle coperture fragili e della fattibilità pratica delle proposte, può certamente avere a base condizioni “oggettive” che possono essere trovate nei dati ufficiali del nostro Bilancio Pubblico. E come sempre, lì i “numeri parlano”.
Secondo studi della Banca d’Italia e dello Svimez, basati su dati dell’Agenzia delle entrate e su dati ufficiali del MEF, i circa 830 miliardi di Spesa Pubblica Totale sono spalmati nei diversi territori italiani in modo relativamente omogeneo in termini di spesa pro-capite. Al netto degli interessi sui Titoli di Stato, il 36% della Spesa va al Sud ed il 64% va al Centro-Nord rispecchiando quindi la distribuzione della popolazione sul territorio. Dall’altra parte, i circa 790 miliardi di Entrate Pubbliche Totali rappresentano il 48% del Pil come media nazionale.
Certamente il Pil del Sud è inferiore a quello del Nord ed altrettanto certamente l’evasione fiscale appare più diffusa al Sud che al Nord. Sta di fatto però che le tasse e contributi pagati dal Sud in rapporto al Pil dello stesso Sud risultano essere il 25%, mentre le tasse e contributi del Nord rapportate al Pil del Nord risultano pari al 60%. Ne consegue che il Nord ha “trasferito” al Sud circa il 6% del proprio Pil, cioè circa 50 miliardi di euro all’anno che, solo per gli ultimi venti anni, sommano a oltre 1000 miliardi, cioè la metà del Debito Pubblico. In un paese “unitario e coeso” questa redistribuzione territoriale può e deve considerarsi sacrosanta. Come nel saluto dei Boy-Scout il pollice, dito più grande, tutela e protegge il mignolo, dito più piccolo.
Ma questo va misurato con gli effetti concreti prodotti dai “trasferimenti”. Dovremmo allora vedere oggi che le regioni del Sud in questi decenni, come avvenuto in Germania tra le regioni dell’ovest e quelle dell’est, hanno sensibilmente ridotto il gap rispetto alle regioni del Nord in termini di crescita, occupazione, servizi sociali, infrastrutture, sanità, scuola e formazione e qualità della vita.
Purtroppo, come sappiamo tutti, quel gap è aumentato e le condizioni sociali e di vita al Sud sono ulteriormente peggiorate. Ecco allora che le due stelle comete hanno “razionalmente” guidato il voto del 4 marzo. Al Nord la Flat-tax guardata da chi le tasse le paga e molto. Al Sud il reddito di cittadinanza nella speranza di avere ulteriore sostegno dalla spesa pubblica. Paradossalmente, infatti, al Sud la Flat-tax c’è già ed è “fai da te” e nei dati complessivi appare al 25%, con ulteriore “riduzione di aliquota” per chi al Sud evade di più.
E’ evidente allora che l’attrazione maggiore (forse fatale?) sta nella promessa di una distribuzioni di redditi a pioggia. Pertanto gli italiani possono forse apparire creduloni, ma certamente non del tutto cretini! Ecco allora che, di fronte alle cartine geografiche del post voto con una Italia spaccata in due, la vera sfida tra tutte le forze politiche non è il vecchio e stantio confronto tra destra-sinistra-centro, quanto piuttosto come ricucire quelle due Italie in un progetto di crescita, di occupazione e di benessere “collettivo e nazionale” senza illudersi del consenso raccolto con le stelle comete della campagna elettorale e senza trovare nuovi untori nei parametri europei, che possono anche essere sbagliati ma vanno semmai cambiati insieme agli altri e non certo da soli.
Anche perché chi vince le elezioni è poi chiamato a realizzare le promesse: se lo fa “sfonda i conti pubblici”, esce dall’Europa o accetta la Troika (Tsipras docet); se non la fa “perde rapidamente il consenso” e l’Italia riparte dalla casella zero del vecchio giro dell’oca.
Fonte: RdC 10 Marzo 2018