di Eugenio Fatigante
Passato (ma non smaltito) l’atto di autolesionismo nazionale con cui M5s, Fi e Lega hanno liquidato il governo Draghi in un frangente delicatissimo della storia d’Italia e d’Europa, è già tempo di ragionare su che cosa si può fare in campo economico nell’”interregno” che ci separa dalle elezioni. Con lo spirito illustrato ieri dallo stesso Draghi: «Ci sarà tempo per i saluti, rimettiamoci al lavoro!». C’è un’emergenza da governare: transizione energetica, inflazione e tutela del potere d’acquisto, lavoro e cantieri sono dossier che non possono certo essere abbandonati a se stessi, anche solo per 2-3 mesi, stando con le mani in mano.
Con l’ex presidente della Bce “bruciato” e alla guida del governo solo per gli affari correnti, l’Italia perde un prezioso garante che rassicurava interlocutori internazionali e operatori finanziari, che peraltro già si stavano preoccupando per il “dopo-Draghi” e per il rischio di un ritorno di fiamma nazional-populista.
Occorre partire però da una premessa di tipo psicologico, per così dire: il mondo non finisce in ogni caso con superMario, e ripetere all’infinito che quanto successo (pur grave) è un «colpo mortale» all’Italia rischia alla lunga di essere almeno altrettanto autolesionistico delle scelte dei “partiti della crisi”; e, soprattutto, sta anche alle scelte future di noi elettori creare un quadro politico che non sia sbilenco e inquietante anche per istituzioni sovranazionali e mercati. In fondo, lo stesso Draghi disse una volta, davanti allo spread fortemente salito sotto il suo governo, «vedete che non sono uno scudo contro qualunque evento?».
Ciò detto, restano le scelte operative. A partire a esempio da quelle legate alla transizione (meglio: conversione) energetica che, per la loro natura che tocca il bene comune, hanno le caratteristiche per essere trasversali, accomunando partiti e movimenti anche opposti: c’è da portare avanti lo stesso la diversificazione geografica delle fonti energetiche e da intensificare misure come i decreti necessari (a 7 mesi dal varo della norma) per incentivare lo sviluppo delle tanto attese comunità energetiche, sulla scia dell’appello di quasi 150 associazioni e reti associative laiche e cattoliche lanciato proprio sulla prima pagina di “Avvenire”.
Spostando la prospettiva all’orizzonte elettorale, certo c’è il rischio che, nel combinato disposto tra questa legge elettorale e i nuovi collegi indotti dal taglio a 400 più 200 dei parlamentari, nessuno dei due e più fronti elettorali che si presenteranno possa vincere da solo le elezioni. E questo impone ancor più il dovere di chiarezza davanti agli elettori. A esempio, sul taglio delle tasse sul lavoro e su quale tipo di salario minimo (temi già dibattuti da molti mesi con poco costrutto) è bene che ogni coalizione esponga ora con la massima chiarezza e nei dettagli le idee in materia, senza limitarsi a generiche enunciazioni poi “aggirabili” una volta al governo. Magari anche sulla concorrenza per la quale, dopo un ddl ora pure “stralciato” del capitolo taxi, ancora una volta verranno tempi migliori (e anche su questo sarà decisivo il giudizio degli elettori fra visioni politiche così contrapposte).
In ogni caso, servono scelte che rasserenino risparmiatori e investitori: non promesse insostenibili per vincere le elezioni, ma proposte che non siano in deficit e che portino avanti le misure previste dal Pnrr europeo (ci sono altri 55 obiettivi previsti entro dicembre), al di là del negoziato – previsto da una specifica clausola – per allungare le scadenze in caso di elezioni.
Rassicura, in tal senso, l’impegno formulato ieri da Fdi, sorvolando sul passato quando, all’inizio, i meloniani, Lega e Fi rifiutarono l’appoggio al governo Conte che ne stava negoziando la nascita. E magari, dopo la sbornia da bonus degli ultimi anni, un impegno unitario (se è ancora possibile usare questo termine) a limitarli il più possibile, visto il costo di ben 15 miliardi stimato per quelli concessi dal 2018 a oggi (senza contare i 23 miliardi del reddito di cittadinanza). Sul Superbonus, fra i temi al centro della crisi, nulla vieta di trovare una soluzione tecnica per far ripartire il mercato dei crediti: basterebbe escludere a priori da qualsiasi ipotesi di concorso nell’eventuale violazione il correntista della banca che attesta di aver fatto adeguati controlli al momento dell’acquisto del credito.
E, ancora, ci sono una serie di attività che non si traducono per forza in una immediata proposta di legge, ma che vanno monitorate dal governo. Sulla stessa legge di Bilancio, che pur verrà affidata al governo che uscirà dalle urne (costretto assieme al Parlamento a tempi strettissimi per evitare l’esercizio provvisorio), si può predisporre lo schema normativo, anche prevedendo delle ipotesi alternative da affidare poi al vaglio dei nuovi governo e Parlamento. Non sarebbe un lavoro inutile. Così come, accanto al “sostegno” della Bce (lo scudo anti-spread varato ieri), resta comunque un ruolo della politica economica che non abdica, ma deve stare all’erta per evitare che il quadro peggiori. C’è da passare il testimone al governo che verrà in una staffetta che serva davvero al Paese e non produca ulteriori danni.
(Avvenire 22-07-2022)
Fonte: Avvenire 22-07-2022