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“Precarietà e stipendi bassi, è la generazione degli eterni giovani”

Consumi e libertà «Essere poveri significa spendere il 65-70% del reddito per i prodotti indispensabili per vivere» Tutti più poveri «Lo facciamo da dieci anni: ci stiamo impoverendo tutti in modo graduale e costante».L’economista Luigi Campiglio: se va bene guadagnano 1.200 euro al mese. Con cifre così possono solo tirare a campare e stare in casa.
«Giovani, giovani, giovani»: per Luigi Campiglio, economista molto attento ai problemi del disagio familiare, docente alla Cattolica di Milano, sono i più esposti al rischio povertà. Quella che, secondo l’Istat, grava già su un quarto delle famiglie italiane, ma che potrebbe diventare più pesante se l’economia non riuscirà a crescere a ritmi sostenuti. «La situazione è serissima, la preoccupazione è altissima perché i giovani, guadagnano poco e restano fuori dal percorso di carriera: con 1.200 euro al mese, se va bene, che possono fare? Tirano a campare o restano in casa» aggiunge Campiglio. «Eterni giovani» protetti dalla rete della famiglia destinata peraltro anch’essa a sfilacciarsi visto che come rivela sempre l’Istat sta calando la propensione al risparmio. E non perché gli italiani siano diventati improvvisamente cicale dopo una lunga tradizione di formiche. Ma perché una quota crescente di famiglie «non è più in grado di mettere i soldi da parte. O peggio deve intaccare le risorse accumulate», facendo cioè «risparmio negativo», in termini tecnici. La situazione di grave difficoltà della generazione 20-35 anni sta rovesciando, secondo Campiglio, le leggi dell’economia. Perché è diminuita come numero (erano in 13.115.000 nel 2002 e sono scesi a 11.783.000 nel 2010) ma non ha aumentato il valore di mercato, visto che i redditi medi da lavoro di quella fascia d’età sono molto più bassi rispetto a 10 o 20 anni fa.
Ma cosa vuole dire essere poveri secondo la statistica? «Significa dover spendere il 65-70% del reddito totale a disposizione per i prodotti di prima necessità, indispensabili per vivere, dalla casa all’alimentazione ai trasporti necessari per andare al lavoro». Da economista Campiglio descrive questa condizione come una forte «limitazione della libertà di scelta dei consumi». Come una sensibile riduzione della discrezionalità della spesa. Insomma chi è povero non ha scelta: spende e consuma solo per sopravvivere.
L’altra faccia del problema è la diminuzione della capacità di risparmiare. «Stiamo attingendo alla nostra ricchezza, lo facciamo da dieci anni e non solo dalla crisi, ci stiamo impoverendo tutti in modo graduale e costante. Per fare fronte ai consumi e al progressivo invecchiamento della popolazione».
Ma c’è chi povero lo è già con una peculiarità, non certo positiva, rispetto a chi vive nel disagio nel resto d’Europa: la situazione tende a migliorare meno che altrove a causa dei minori sostegni pubblici. L’insieme di strumenti d’aiuto al reddito – dagli assegni familiari all’indennità di disoccupazione, all’integrazione per la maternità o agli aiuti per l’acquisto della casa – in Paesi come Francia e Germania, dice Campiglio, abbattono la quota di poveri di 10-12 punti percentuali. In Italia al massimo di 5 punti. La social card? «È in attesa di ricarica per poter essere efficace», risponde l’economista milanese. Secondo il quale sul fronte della miseria è sensibile il divario tra Nord e Sud ma anche quello esistente nelle singole regioni. Non solo, per fare un esempio, in Sicilia o in Calabria il disagio economico è più diffuso che in Lombardia. «Ma è anche più ampia la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, il solco tra poveri e ricchi».
Che fare dunque, per invertire la tendenza all’impoverimento che rischia di travolgere i giovani? Occorre «dare impulso alla crescita, rafforzare la produttività e aumentare occupazione e salari» dice Campiglio, secondo il quale la leva da azionare per ripartire sono gli investimenti, in particolare quelli privati.

Fonte: Corriere della Sera del 24 maggio 2011

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