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Precari e salario: Veltroni sbaglia

Le cose è meglio dirle chiare: la proposta, avanzata da Walter Veltroni, di fissare per legge un salario minimo, 1000 € al mese, per i lavori atipici è sbagliata. Lo dice uno che ha apprezzato la novità del Lingotto, quando dichiarò chiusa la stagione delle coalizioni eterogenee tenute insieme dall’antiberlusconismo; uno che ha ammirato il coraggio di Orvieto, quando sparigliò le carte annunciando che sarebbe corso da solo; uno che, pur deluso, capisce le ragioni di convenienza di farsi accompagnare da Di Pietro. Ma che la fissazione di un salario minimo, per legge, per qualsiasi impresa e su tutto il territorio nazionale sia un errore, lo dimostra non solo una vastissima letteratura economica, ma anche l’esperienza pratica: negli USA ci sono Stati che hanno norme del genere e Stati che non le hanno, basta paragonare i risultati in termini di occupazione. Le soglie a livelli non bassissimi, mettono fuori dal mercato legale coloro che accetterebbero anche paghe inferiori pur di entrare nel mondo del lavoro. Invece di prescrivere soglie, doveva impegnarsi a eliminare il dualismo tra lavoratori superprotetti e poco protetti, per il contratto unico con garanzie crescenti con l’anzianità.

Le cose è meglio dirle subito: se gli “anti” viscerali continueranno a essere banditi, se la battaglia elettorale si giocherà non asserragliati nelle proprie trincee, ma alla conquista degli elettori di centro, ci sarà gara a chi farà le promesse più seducenti. E siccome l’arsenale dei temi generali (tipo il famoso “meno tasse per tutti”) è presto esaurito, le proposte saranno sempre più mirate a casi particolari, una detrazione di qui, un ritocco di aliquota di là, un rimborso a questo, un sussidio a quell’altro. Come appunto i 1000 euro ai precari. E come l’altra proposta di detassare aumenti contrattuali e premi di produttività (chi volesse sapere perché, vada al sito www.lavoce.info). Più l’interventismo moltiplica le norme a favore di settori o categorie specifiche, più si introducono “scalini”, più si distorcono i mercati, e le conseguenze inintenzionali finiscono per stravolgere le intenzionalità dei governanti. Il salario minimo solo ai dipendenti di aziende private, per evitare costi allo Stato, lascia fuori i precari del pubblico impiego, ad esempio i dottorandi. I bassi salari sono la conseguenza di uno scarso potere contrattuale, dei lavoratori verso l’impresa, e dell’impresa sul mercato. Debolezze che discendono (anche) dal degrado dell’istruzione impartita dalle nostre scuole. Affrontare questo problema, come chiede Francesco Giavazzi (Corriere della Sera, 13 Febbraio), non è prenderla alla larga: sarebbe smetterla di correr dietro agli effetti, per por mano alle cause.

Fonte: Vanity Fair del 27 febbraio 2008

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