La manovra fino a oggi attuata dal governo Monti si compone essenzialmente di tre componenti forti, più molto altro di contorno. La prima è la riforma previdenziale, che si sarebbe dovuta varare già da molto tempo, e che proprio per questo ritardo mostra alcuni aspetti di durezza nel suo tasso di accelerazione.
Si tratta di una delle richieste europee di fondo (Bce, ma non solo), ma soprattutto si tratta di una riforma strutturale che serve all’Italia e impone sacrifici di tipo espansivo, e non di effetto recessivo, perché si lavora più a lungo senza tagli di reddito.
La seconda componente è rappresentata dall’aumento forte del prelievo fiscale, concentrato prevalentemente sulla casa, ma che segue vari altri canali molto consueti come le accise sulla benzina, il blocco della rivalutazione delle pensioni che è una forma di prelievo (non particolarmente equa secondo ogni criterio).
Infine, abbiamo alcuni interventi a favore delle banche, motivati dalla necessità di tentare di fronteggiare il “credit crunch” con mezzi nazionali, in latitanza (strutturale) della Banca centrale europea. Vi è altro, come un po’ di sgravi fiscali per le imprese che, nella fase recessiva in corso, difficilmente avranno un effetto espansivo significativo, in assenza di una qualche minima strategia di sviluppo. È in agenda, ma non ancora in seria discussione, la riforma del mercato del lavoro (ma già con i soliti veti sindacali preventivi e con i soliti riti).
L’azione di emergenza del governo, dunque, è attualmente concentrata sul perseguimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, anche se il modo miope in cui questo obiettivo viene perseguito sembra indicare soprattutto un problema di cassa di breve periodo. Il conseguimento del pareggio di bilancio entro il 2013, fissato peraltro dal precedente governo nel mese di agosto, dopo la lettera della Bce, non tiene però conto della grave recessione che si profila. Pertanto esso si può considerare un obiettivo “stupido”, perché in una fase di congiuntura negativa non sembra questa la priorità, anche se ritenuto necessario per ottenere la credibilità sui mercati finanziari.
In realtà, è riconosciuto da tutti gli economisti, e lo si è ripetuto tante volte anche dal pulpito europeo, che la credibilità si recupera soprattutto dal lato della crescita. Mentre l’inseguimento del pareggio di bilancio con aumento della pressione fiscale non può che produrre inevitabili effetti recessivi con la necessità di attuare a breve una ulteriore manovra di correzione, in una perversa sequenza a spirale.
La manovra tuttavia avrebbe un senso solo partendo da una chiara diagnosi della situazione. Che, cioè, l’Europa sta andando verso una grave recessione determinata dalla sua stessa ottusa politica economica che prevede unicamente la contemporanea attuazione di una riduzione rapida dell’indebitamento dei principali paesi.
Poker di condizioni all’Europa
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