• lunedì , 23 Dicembre 2024

Più tasse sui ricchi

La riforma fiscale? Dobbiamo farla, e farla oggi. Anche con una tassa sul patrimonio.. Grossa, è grossa. Che Luigi Abete sia impazzito? Come può essere che un rappresentante del padronato con la sua esperienza si trasformi in un tribuno? Eppure c’è una novità che spira dal fronte dei signori delle imprese. Un’aria da “discesa in campo” con meni e stile diversi da quelli utilizzati a suo tempo da Silvio Berlusconi. Se la politica è irresoluta, il governo litiga, le forze sociali sono piegate dalla crisi, e intanto l’industria perde posizioni a favore di India e Corea e il paese diventa il malato cronico d’Europa, Abete si prende il ruolo di centravanti di sfondamento e tira in porta: eccovi la proposta, basta meline. Da un lato c’è il carattere dell’uomo, che pur non avendo dietro di sé un’impresa da Gotha industriale ha accumulato un cursus honorum record: cx presidente di Confindustria, presidente della Bnl conquistata dai francesi di Bnp Paribas, presidente da un biennio di quella tecnostruttura lobbistica del capitalismo che è l’Assonime (e pronto a un altro biennio), senza dimenticare il ruolo di “speaker” della consulta delle imprese di Roma, laboratorio di come dovrebbe evolvere viale dell’Astronomia. Dall’altro lato c’è l’interesse del ceto industriale a tracciare un percorso per far svoltare il paese, anche rompendo i recinti e le divisioni del proprio fronte: un “patronat” alla francese che metta insieme industria, banche, assicurazioni, commercio, e magari anche agricoltura e cooperative – sostiene Abete – ci darebbe più peso e ci farebbe stare meglio. E lavora per costruirlo. Ma andiamo con ordine. Esporsi sul fisco. di questi tempi: chi ve Io fa fare? «Una riforma fiscale è necessaria perla crescita del paese. Ma se vogliamo restare in Europa non possiamo illuderci che ci sia spazio per diminuire la pressione fiscale, e neanche sperare che le risorse arrivino dalla lotta all’evasione o dai tagli della spesa pubblica: la prima non produce cifre certe e valutabili preventivamente, i secondi sono destinati a farci rientrare nei parametri europei, non a sostenere i redditi». Dunque? «C’è un solo sistema: spostare il carico fiscale da un ceto all’altro e su imposte più utili alla crescita». A cN toedsed più catico? «Partiamo dalla prima mossa: chiediamo un forte spostamento del carico fiscale dalle imposte dirette all’lva, concentrando il taglio dell’Irpef sui ceti meno abbienti. Di che grandezze sto parlando? Di 40 miliardi di Iva in più, che servono per alleggerire di 13 miliardi le imposte sui redditi più bassi, abbattendo l’aliquota minima del 23 per cento al 20; e che permetteranno di disporre di 8 miliardi da destinare a quanti si trovano sotto la soglia del reddito tassabile, e di altri 15 per integrare il sussidio di disoccupazione-. Sull’aumento dell’Iva la Confcommercio è fieramente contraria perche. dice, farà diminuire i consumi. II sindacato perche pesera sul puì deboli. Cosa risponde? -Che non è vero, perché se io aumento il reddito disponibile di quelle fasce che oggi devono stringere la cinghia, loro spenderanno di più, e quindi al contrario l’operazione rilancia la domanda interna. In questi anni i ceti abbienti non hanno cambiato sostanzialmente i loro consumi, anche a costo di sostenerli attingendo ai risparmi. Il risultato delle aliquote Iva agevolate sui beni di prima necessità, è che avvantaggiano proprio i più abbienti, che consumano di più, non gli altri. Noi pensiamo che si debba intervenire proprio su quelle aliquote del 4 e del 10 per cento, portando gradualmente tutto al 20 per cento. Comunque l’importante è che si intervenga massicciamente sull’Iva; gli interventi fiscali di cui si discute in questi giorni non sono una riforma ma un palliativo-. E Intorno al tabù delle rendite Mrafaletíe, ci girate a targo? Neanche per sogno: anche qui, invece di avere una aliquota al 12,50 e una al 27, proponiamo di portare la tassazione di tutte le rendite finanziarie al 18-20 per cento; ed estendiamo la cedolare secca del 20 per cento sugli affitti dalle sole persone fisiche, a tutti-. Cioè anche alle soc sii? «Bisogna far passare un principio: ovunque sia allocato il capitale, la tassazione deve essere uguale. Quindi una stessa aliquota per gli affitti, per le rendite finanziarie, e anche per gli utili d’impresa: tra profitto e rendita non ci devono essere differenze. Quindi riduciamo al 20 per cento anche l’Ires, l’imposta sulle persone giuridiche-. Con che vantaggio per le Imprese? -Dodici miliardi di curo in meno-. Una bella cifra. Dove N trova? L’aumento dei-riva non basta. Eccoci al nodo. In un sondaggio tra i S mila imprenditori delle Assise confindustriale di Bergamo, alla domanda secca: “siete favorevoli a una patrimoniale?”, il 40 per cento ha risposto sì. Sorprendente, no? Ma testimonia che il clima in quel mondo è cambiato. E allora noi proponiamo un’imposta ordinaria minima a carico delle persone fisiche che abbia come riferimento il patrimonio. Basta l’uno per mille (è un settimo di quello che si paga in Svizzera) per racimolare 9 miliardi con cui pagare quasi tutto il taglio Ires: chi ha 50 milioni di patrimonio pagherebbe 50 mila euro, chi un milione, mille euro-. Si chiama patrimoniale: si applicherebbe sui la casa, sulle azioni, sui depositi in banca… -Si. Ma si può decidere di escludere i patrimoni sotto una certa soglia, creare una franchigia sotto un certo valore. Soprattutto: non chiamiamola patrimoniale.. E come, alttlittena ? L’ho battezzata Ctc: “contributo ordinario per la trasparenza e la crescita”. Vorrei far capire che serve proprio per evitare una patrimoniale vera, cioè una tassa straordinaria a carico dei ricchi, con rischi elevati di stabilità per il paese: la Ctc è un modo per dare trasparenza alle variazioni patrimoniali che intervengno di anno in anno, è un’operazione di politica economica che colpisce l’evasione e il lavoro nero. Fondamentale, comunque, è che questa riforma, perché venga accettata da tutte le componenti sociali, sia realizzata tutta insieme-. Cercare l’armonia sociale non è un po’ Illusorio. quando e sotto gli occhi di tutti quanto e atta la tensione delle relazioni industriali tra padroni e sindacati, e anche all’interno della stessa Confindustria. con l’imminente addio della Flat di Marchionne? Parlo da imprenditore: la Fiat ha tutto l’interesse a restare in Confindustria, perché solo così può scongiurare la conflittualità permanente in fabbrica e i mille ricorsi nei tribunali. E la Marcegaglia fa bene a perseguire un accordo con tutto il sindacato, perché un accordo solo con quello “maggiormente rappresentativo” non può bastare: la componente maggioritaria non è uguale in tutte le imprese, e come finirebbe se ci fosse un accordo di un tipo da un parte, di un altro tipo dall’altra?-. Lo dlea lei. «Se salta la mediazione del sindacato, in molte imprese torniamo agli anni Settanta, con la pressione delle rivendicazioni senza alcuna regola: nella fabbrica dove le cose vanno bene – e che non può trasferirsi altrove – i lavoratori non si accontenteranno di 100 ma vorranno 300, e lo otterranno; le fabbriche che vanno ma- LA FIAT HA TUTTO L’INTERESSE A RESTARE IN CONFINDUSTRIA le, finiranno per chiudere. In tutti e due i casi il sindacato non ha più ruolo, non serve più». E all’impresa fa più comodo che d sia. Assolutamente si. Nell’accordo del ’93 che oggi il ministro Sacconi tanto disprez/a la regolamentazione della rappresentanza sindacale era già prevista, ma non si arrivò mai a norme stringenti perché nel frattempo erano scomparsi i Cobas, i sindacati di base, che proprio grazie alla democrazia diretta in fabbrica vennero neutralizzati nelle Rsu, la rappresentanze sindacali unitarie. Nessuno poteva immaginare che poi si sarebbe spaccato il fronte Cgil, Cisl, Uil: oggi le loro firme separate non bastano più, perché la maggioranza dei sindacati confederali non rispecchia necessariamente la maggioranza dei lavoratori in azienda -. Quindi? «Ci serve sia la maggioranza dei sindacati sia la ratifica dei lavoratori in fabbrica. E con una maggioranza del 51 per cento (Susanna Camusso deve rinunciare alla pretesa del 60 per cento): è nell’interesse di tutti, sindacati e imprese. Altrimenti si lascia campo libero ai nuovi Cobas, e le imprese diventeranno ingovernabili-.

Fonte: Espresso del 17 giugno 2001

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