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Piu’ poveri di 20 anni fa

Siamo più poveri di vent’anni fa: in media, il 4% di potere d’acquisto in meno per persona. I dati dell’Istat ieri non ci dicono soltanto che la grande crisi in corso dal 2007 ha colpito duramente l’Italia. Già da prima la crescita economica si era quasi arrestata. Per la prima volta dalla fine della II guerra mondiale, un grande Paese avanzato non avanza più. Possiamo già chiamarlo declino?
Inutile prendersela con l’instabilità finanziaria, e tanto meno con l’euro. L’analisi dell’Istituto di statistica, in diversi punti vicina a quella della Banca d’Italia, fa risalire a ben prima i nostri mali. In sintesi, si sono combinati tra loro diversi errori della nostra classe dirigente: non solo i politici, anche gli imprenditori, anche i burocrati, anche altri poteri costituiti.
Non c’è da stupirsi se in diverse occasioni, nelle urne e nelle piazze, emerge una complessiva insofferenza verso «quelli in alto». In situazioni del genere si fanno strada i demagoghi, con i quali si cade dalla padella nella brace. E’ stata peraltro tutta la collettività a rendersi conto tardi della gravità della crisi: la percezione dei dati economici – anche questo mostra l’Istat – è stata fino all’estate 2011 fortemente influenzata dai mass media, specie dalla Tv.Nello stesso giorno in cui le statistiche nazionali ci informano che le retribuzioni sono pressoché allo stesso livello di vent’anni fa, da Parigi l’Ocse suggerisce una riduzione dei salari reali per accrescere la competitività e ridurre la disoccupazione. Sono, purtroppo, due facce della stessa medaglia. La produttività in Italia è rimasta ferma mentre altrove aumentava; gli altri con la stessa quantità di lavoro realizzano più beni, noi no.
Non siamo stati colpiti da una misteriosa pigrizia. Secondo l’Istat, scelte sbagliate delle aziende e dello Stato si sono rafforzate a vicenda. Un gran numero di imprese non è bravo nell’utilizzare appieno le nuove tecnologie, non sa crescere di dimensione od organizzarsi meglio; fuori gli fanno da freno le inefficienze pubbliche, trasporti faticosi, cattiva formazione scolastica, giustizia civile lenta, mentre l’evasione fiscale favorisce le più inefficienti attività dell’economia sommersa.
Una stagione di profitti industriali assai alti, dal 1993 durata circa un decennio, non ha accresciuto né diversificato gli investimenti nelle strutture produttive: fabbrichiamo più o meno le stesse merci. Dal 2000 al 2005, i governanti hanno scialacquato i benefici dell’euro: il minor peso degli interessi sul debito pubblico è stato utilizzato per accrescere le spese. Ora i nodi arrivano al pettine tutti insieme.

Fonte: La Stampa del 23 maggio 2012

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