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Più bisturi per competere

Nelle analisi dell’OCSE sulla regolamentazione, il nostro paese viene collocato sistematicamente tra i peggiori per gli ostacoli normativi e amministrativi all’attività d’impresa e le barriere d’ingresso sui mercati. Secondo stime recenti del Fondo Monetario Internazionale, la minore produttività che ne è derivata in Italia spiega da sola oltre un terzo del gap di produttività dell’Europa intera rispetto agli Stati Uniti.

La discussione sulle misure per la competitività, in questi giorni all’esame del governo, tende ancora una volta a degradare in una pletora di richieste di agevolazioni finanziarie e piccoli interventi. Va ribadito che il cuore del problema non è qualche incentivo o sgravio fiscale, ma la creazione di un contesto istituzionale e normativo favorevole all’impresa e all’assunzione del rischio.

Le semplificazione degli adempimenti burocratici è importante, ma da sola non basta. Occorre brandire il bisturi e tagliare con decisione le mille misure protettive che impediscono la concorrenza, l’ingresso di nuove imprese e l’afflusso degli investimenti esteri, soprattutto nel comparto dei servizi (distribuzione commerciale, servizi finanziari, utilities, appalti pubblici, eccetera).

L’esperienza estera indica che il processo di riforma normativa può riuscire solo in presenza di un forte impegno politico del governo sui temi della liberalizzazione e della semplificazione burocratica: un impegno capace di tradursi in azione legislativa tenace e prolungata nel tempo, tesa a rimuovere ogni normativa restrittiva e a impedire l’adozione di nuove norme della stessa natura.

L’Italia già dispone di un importante strumento per agire in tal senso, nella legge annuale di semplificazione, che consente al governo di ottenere per delega dal Parlamento ampi poteri di liberalizzazione. Però, sinora tali poteri non sono stati richiesti né esercitati; si potrebbe farlo con la legge di semplificazione per il 2005, da tempo giacente nel generale disinteresse davanti al Senato. Operando in base a una presunzione generale secondo cui ogni ostacolo all’ingresso e ogni restrizione all’attività d’impresa debbano cadere, quando non siano strettamente giustificati da chiare esigenze di interesse generale, secondo gli orientamenti elaborati in materia dalla Corte europea di giustizia.

Inoltre, poiché le resistenze degli interessi costituiti sono sempre fortissime, l’impegno del governo deve trovare un efficace centro di coordinamento operativo presso la presidenza del consiglio – sul modello della Better Regulation Task Force britannica – con forti poteri di proposta sulle norme da abolire e di filtro sulle nuove proposte legislative.

Infine, l’azione a livello statale deve trovare un adeguato complemento a livello delle Regioni e degli enti locali. Nelle materie di competenza condivisa, lo stato può fissare validi principi generali a tutela della concorrenza e dell’iniziativa economica. Nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni, queste dovrebbero impegnarsi e seguire analoghi principi nella propria autonoma attività legislativa e amministrativa. La Conferenza Stato-Regioni può diventare la sede di confronto sugli obiettivi e i risultati.

Un’azione determinata e incisiva del governo su questo fronte farebbe miracoli nel rafforzare la competitività, ristabilire un clima di fiducia e riavviare gli investimenti e l’occupazione.

Fonte: La Stampa del 13 gennaio 2005

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