• venerdì , 27 Dicembre 2024

Perchè l’esito è deludente

Usando il linguaggio degli economisti si può convenire che per centrare davvero entro il 2014 il pareggio di bilancio l’ Italia e gli italiani sono chiamati a un cambio di paradigma. Devono mutare mentalità, cultura del proprio rapporto con lo Stato, persino stili di vita. E devono farlo – speriamo di riuscire a spiegarlo ai nostri lettori – per i propri figli, per consegnare alle nuove generazioni un Paese all’ altezza della sua storia, di nuovo culla di civiltà e innovazione. Peccato però che chi sta chiedendo ai suoi concittadini questo salto, ovvero il governo di Roma attualmente in carica, il cambio di paradigma non riesca proprio a farlo. Queste ore e questi giorni ricordano i tempi delle finanziarie omnibus, quando dal Consiglio dei ministri uscivano grandi contenitori legislativi zeppi di provvedimenti, i più disparati e in gran parte destinati a diventare vittime delle scorribande parlamentari. Nella conferenza stampa di ieri sera Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti si sono presi un doppio merito, aver conseguito il pareggio di bilancio e aver raggiunto un moderno patto per il lavoro. Ora il primo obiettivo è ben lungi dall’ essere incamerato e comunque moltissimo dipenderà dalla perizia del governo che sarà in carica nel biennio 2013-2014 e quanto all’ accordo Confindustria-sindacati è stato così lineare e rapido proprio perché il governo se ne è disinteressato. Un gesto, in verità, l’ esecutivo lo poteva fare per mettersi in sintonia con i cambiamenti chiesti ai propri elettori: tagliare i costi della politica e iniziare da subito, proprio per comunicare al Paese il senso di un’ emergenza e la compartecipazione delle élite politiche. Ma anche simbolicamente la Casta non si è voluta emendare, ha difeso apertamente le sue prerogative, ha preferito rimandare i tagli alla prossima legislatura e, parole (ben scandite) del premier, «fatti salvi i diritti acquisiti»! Tremonti ha annunciato che sarà formata un’ apposita commissione che studierà i costi della politica in Europa e ricalibrerà quelli italiani sulla media dei grandi Paesi dell’ euro. Niente da dire sulla metodologia, tranne osservare che se c’ era un caso in cui i famigerati tagli lineari si potevano applicare senza remore era proprio quello degli stipendi dei politici. Nei prossimi giorni conosceremo nel dettaglio le voci della manovra e ne daremo un giudizio più ponderato, per ora l’ impressione è quella che i risparmi di spesa si siano concentrati laddove era più facile far cassa, aumentando l’ età pensionabile o introducendo i ticket sanitari. (E le partite Iva si sono salvate per un pelo!). Ma l’ accusa implicita rivolta all’ esecutivo dal governatore Mario Draghi di conoscere poco la mappatura della spesa e quindi di procedere pressoché alla cieca resta tutta in piedi. Un cambio di paradigma avrebbe richiesto che agli italiani fossero sottoposte in piena trasparenza le singole misure di contenimento e la loro incidenza. Ad esempio, c’ è un motivo tecnico per cui si evita accuratamente di analizzare l’ eliminazione delle Province? Siamo in grado di dire agli elettori quanto si risparmierebbe e su quella base decidere oppure no di procedere? Anche sul versante della crescita c’ è la sensazione che al governo manchino in qualche caso le competenze, in altri le coerenze. Siamo proprio sicuri che trasferire d’ ufficio l’ Ice alle ambasciate e mettere all’ ingresso il cartello «Casa Italia» aiuterà le nostre esportazioni? Il capitolo export non avrebbe meritato ben altro approfondimento e la scelta di una strumentazione più ricca? Lo stesso vale per le liberalizzazioni. Il governo dice di volerle favorire (a parole), mai poi nel concreto il Parlamento sta esaminando un disegno di legge firmato da un esponente di punta del Pdl, Maurizio Gasparri, che punta a limitare una delle poche deregulation che aveva funzionato (e creato posti di lavoro), quella delle parafarmacie. Dando un colpo al freno e uno all’ acceleratore in genere le vetture sbandano.

Fonte: Corriere della Sera del 1 luglio 2011

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