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Perchè le manette non ci regalano un’Italia migliore?

Come nel ’92-’93: invidia sociale a manetta, “distruzionismo”, nessuna lucidità. È il clima collettivo che si inizia a respirare in questa brutta estate del 2011 attorno alla manovra, alla paura sui mercati per l’Italia e per l’Europa, alla sensazione – forse persino esagerata rispetto al vero – di progressivo impoverimento che percepiamo intorno a noi. “So’ tutti fetenti!”: il grido fondamentalista, ribellista e insulso, di ieri, di oggi e di sempre si leva non più soltanto da Napoli e dal Sud – culla dell’anti-Stato e di quel nichilismo suddito e straccione lievitato in secoli di dominazioni straniere – ma anche dalla Valtellina come dal Trevigiano, dal Ferrarese come dalla Lucchesia. E naturalmente ciò non può che portar male.
Intendiamoci: la casta è indifendibile, e non è di sinistra denigrarla più di quanto sia di destra. La casta è casta e andrebbe eliminata, punto. Ma è così che si fa? Con le grida spagnole, con gli editti di epurazione? Naturalmente no: i fatti lo provano.
Facciamo un flash sul caso-Napoli. Nel 2010 i napoletani – verrebbe da dire con termine borbonico “la plebe napoletana” – stufi di dieci anni di malgoverno bassoliniano, decidono di eleggere come nuovo governatore un candidato del centrodestra, Stefano Caldoro, che si contrappone non solo alla sinistra ma anche a un rivale di area, quel Nicola Cosentino pluri-inquisito e sospettato addirittura di collusioni camorristiche, naturalmente per ora senza prove. Caldoro prevale. Si potrebbe credere a una scelta forte dell’elettorato.
Passa un anno e come candidato sindaco si presenta, da sinistra, il neo-eurodeputato Luigi De Magistris, ex pm famigerato per una serie di discusse inchieste, la più famosa delle quali, la cosiddetta “Why not?” si è chiusa con una montagna che ha partorito un topolino. De Magistris si presenta con l’Italia dei Valori, ma in polemica col suo fondatore Antonio Di Pietro. Sa che il suo partito appoggiava la giunta Iervolino, ma promette discontinuità. Prima del voto non presenta alcun programma e alcuna squadra. Eppure viene eletto quasi plebiscitariamente. Promette di risolvere il problema dei rifiuti in cinque giorni. A tre mesi di distanza naturalmente neanche un sacchetto è stato rimosso dalle strade napoletane. Se questo è il modo per debellare la casta, meglio emigrare tutti.
Torniamo al ’92. Cos’ha portato l’ondata di rivolta popolare, di disgusto sociale e di protesta fondamentalista (vi ricordate “il popolo dei fax”? Un pre-movimento pre-internettaro, ora ci sono il “Se non ora quando”, il “flash-mob” e i tormentoni sui social network, ma sempre fuffa è) che esprimeva tutta la voglia di cambiare, di svoltare, di chiudere con la casta dei vecchi partiti del pentapartito… Un’immagine emblematica dello strapotere della vecchia casta, sempre da Napoli, la rese il mitico Paolo Cirino Pomicino, andreottiano di ferro, capozona elettorale nel napoletano, che una domenica venne beccato con un gruppo di una ventina di amici a pretendere e ottenere l’accesso alla sede Rai di Napoli, all’insegna del “lei lo sa chi sono io!”, per poter assistere in diretta e in bassa frequenza alla partita in trasferta del Napoli.
Sono passati vent’anni. La stagione di Mani Pulite, quei 5.000 indagati, quei 2.800 arrestati (e quei due o trecento condannati, ma questo è un altro discorso) e quella riforma elettorale bipolare incompiuta e naufragata nel Porcellum, hanno condotto al regime bipartito Berlusconi – Lega e all’instaurarsi di un’altra casta, dove lo sfregio al buon gusto e l’abuso oltraggioso deò potere sono simboleggiati dai riti orientaleggianti del Bunga-Bunga del capo, e dei mille sub-Bunga-bunga dei cortigiani, ma anche delle sagre paleolitico-paesane di Pontida. Dov’è l’evoluzione, dov’è la riqualificazione della casta? A paragone della stagione delle Olgettine e del degrado delle varie cricche, il tifo sporitivo da privilegiato di Pomicino fa quasi tenerezza.
Certo, questi sono tutti argomenti a favore di una definitiva bonifica della “casta” rispetto ai suoi privilegi, ai suoi abusi, alle sue pretese, e non di una sua “assoluzione”. Ma se la storia può insegnarci qualcosa è che per ricostruire non ci si può accontentare di distruggere. E invece l’invidia sociale porta solo distruzione.
Quel che c’è da chiedersi è invece come ricostruire una classe dirigente che abbia, profondo, il senso del servizio civile e della funzione morale e sociale della politica e della pubblica amministrazione. Una classe dirigente politica da stipendiare bene non perché si conceda lussi personali ma perché non abbia problemi pratici e possa concentrarsi in quel difficilissimo lavoro che è la politica. Perché non abbia alibi per tentare arricchimenti personali illeciti. Dimezzare il numero dei parlamentari?
Perché no, salvo che nella loro attuale numerosità non lavorassero di più, risolvendo problemi in commissione, magari grazie a nuove regole parlamentari in grado di affidare la definizione di piccole questioni appunto al solo e diretto lavoro delle commissioni. Pagarli di meno? Forse, perché no, ma se un bravo professionista – avvocato, medico, notaio che sia – guadagna da privato cittadino sette-ottomila euro al mese, com’è pensabile che abbandoni per cinque anni la propria attività, a rischio di non riuscire più a riattivarla sugli stessi livelli, se non è per lo meno garantito di non dover dimezzare il proprio tenore di vita?
Certo, abbiamo più auto blu che in tutti gli altri Paesi d’Europa, e magari le Pantere della Polizia restano nei garage perché manca la benzina. Bene, dimezziamo le auto blu e i benefit insulsi, di puro status, di questo genere. Ma non sarà l’uso forzato del taxi a trasformare un cattivo politico in un bravo amministratore. Non solo soluzioni, sono punizioni, queste. Si accontenta l’invidia sociale, non si migliora la gestione della cosa pubblica, in questo modo.
La manovra non ha convinto i mercati. Non perché non sia cospicua, ma perché qualitativamente è debole e dilatoria, rinviando comunque agli anni a venire il grosso degli interventi e non sciogliendo nessuno dei tanti nodi cruciali del nostro sistema. Tremonti ha fatto il meglio e il massimo che potesse fare, ma questo meglio e questo massimo erano troppo poco. La casta si sarebbe opposta al di più. E’ questa la sua colpa, non di guadagnare troppo o avere troppe auto blu.

Fonte: Sussidiario.net del 22 luglio 2011

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