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Perchè la trattativa privata non si addice ad Alitalia

Il tormentone Alitalia è arrivato all’ultimo atto. Il primo agosto si riunisce il Consiglio d’Amministrazione della compagnia che dovrà decidere quale impostazione dare al piano industriale dell’azienda, dopo il fallimento del beauty contest con cui , dal 29 dicembre scorso, si è tentato di privatizzarla gettando le basi per un’Opa totalitaria. Si susseguono nel frattempo , nel Palazzo, riunioni febbrili tra i Ministri interessati ed i loro esperti. A fianco di incontri pubblici molto corretti, e nello stile e nella sostanza (quali l’audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tomaso Padoa-Schioppa), si svolgono riunioni che hanno fatto sobbalzare non solamente gli esperti del settore ma anche la stampa internazionale. Ad esempio, quella (molto pubblicizzata) tra il principale azionista di Air One con il Presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti (il quale nulla a che fare con gare ed appalti di aviolinea) al fine di informarlo di essere pronto a formulare un offerte vincolante se il capitolato viene modificato sotto alcuni aspetti (i livelli occupazionali, il vincolo a non rivendere entro un certo numero di anni).
E’ in questo clima che sta guadagnando terreno l’ipotesi di chiudere la partita a trattativa diretta , invitando a parteciparvi un certo numero di interessati (oltre a AirOne, Aereflot, il fondo Tpg e, semmai, Air France e Lufthansa) . La trattativa diretta non verrebbe gestita dalla pubblica amministrazione (al pari del beauty contest) ma dalla Alitalia in quanto s.p.a. In tal modo, si agirebbero le regole, italiane e soprattutto europee, che richiedono appalti pubblici – ivi compreso il nuovo Codice per gli Appalti approvato dal Consiglio dei Ministri venerdì scorso 27 luglio.
Tale marchingegno non si addice né all’Italia né all’Alitalia. In primo luogo, quali siano le sottigliezze giuridico-formali che barracuda-esperti volenterosi sono pronti ad immaginare, nell’età dell’integrazione economica mondiale esiste una lex mercatoria internazionale per le transazioni finanziarie e commerciali che prevede gare pubbliche per partite come quelle della vendita dell’Alitalia , o del suo pacchetto azionario di riferimento. Tale lex mercatoria è molto più cogente delle norme scritte in quanto non seguirla comporta un danno reputazionale serio.. E all’Italia ed all’Alitalia. Secondo analisi econometriche internazionali, tale danno sarebbe pari a ben 16 volte l’eventuale perdita finanziaria Daremmo l’impressione (a torto od a ragione) di volere sfuggire non soltanto alle regole che ci siamo appena dati, ma anche a quelle europee ed a quelle del resto del mondo. Sarebbe un brutto colpo e per il Paese.
Possiamo evitarlo anche in quanto ci sono strade che possono essere percorse. La via maestra è un’asta vera e propria (di quelle che tecnicamente si chiamano “aste alla Vickrey” dal nome dell’economista che ha ricevuto il Premio Nobel per averle teorizzate e proceduralizzate). Se necessario, l’asta dovrebbe essere preceduta da una fase di commissariamento , basata, però, non sulla legge Prodi degli Anni 70 (mirata alla vendita di rami d’azienda) ma sulla legge Marzano, concepita sulla scia della crisi Parmalat e mirata al risanamento strutturale dell’impresa.
L’Alitalia ha liquidità sino alla fine del 2007. Si sono sprecati sette mesi per un beauty contest inconcludente. Evitiamo di sprecare altro tempo, la risorsa piu scarsa, in azioni di politica industriale che Giuliano Amato, in un libro da lui pubblicato 30 anni fa al Mulino, definiva “impiccione” e “pasticcione”.

Fonte: Italia Oggi del 31 luglio 2007

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