NEL dibattito suscitato dalle crisi di questi giorni nei Paesi periferici della confederazione della moneta unica si ritiene da alcuni che un Paese possa uscire dall’ euro per propria volontà, o esserne cacciato. ECHE comunque, in caso di uscita, il problema consista solo nella stampa di nuove banconote. Ecco tre buone ragioni che rendono difficili, o impossibili, gli esiti di cui si favoleggia. Anzitutto ragioni legali. Il trattato di Lisbona apre la possibilità di un’ uscita dall’ Unione europea, ma non ammette l’ uscita solo dall’ Unione monetaria. Chi voglia uscire dall’ euro deve abbandonare la Ue, e con essa il mercato unico dei beni e dei fattori, esponendosi, per la circolazione delle merci, dei capitali e del lavoro, a un trattamento diverso, certo meno favorevole, da quello goduto dai membri dell’ Unione; e rinunciando fra l’ altro alla politica agricola comune nonché ai sussidi per le aree meno sviluppate di cui godono i quattro periferici sotto attacco. I trattati saranno pure pezzi di carta, che la politica a volte può stracciare: ma, per disattenderli senza gravi conseguenze, occorre una unanimità di consensi che pare difficile rinvenire. E poi ragioni tecnico-economiche. La denominazione del circolante rappresenta un problema secondario rispetto a quello ben più grave della valuta in cui sono espressi i contratti e le obbligazioni pubbliche e private. Supponiamo che un paese dica “basta con l’ euro, torno alla mia vecchia valuta” (la lira, la dracma…). Cominciamo con i titoli di debito pubblico già emessi e stilati in euro: in euro devono rimanere, perché qualsiasi cambio arbitrario di denominazione costituirebbe un evento di insolvenza. Il costo del debito nella nuova valuta nazionale aumenterebbe a dismisura, in proporzione con la svalutazione effettiva e quella attesa della nuova valuta rispetto all’ euro. E le obbligazioni contratte dalle imprese in euro? In euro dovrebbero restare, pena azioni legali contro i debitori: con un conseguente aumento di costo. Scenari da incubo. E infine ragioni di corposi interessi. Si comincia a pensare che la Germania potrebbe ben permettersi di abbandonare l’ euro da sola, lasciando gli altria cuocersi nel loro brodo. E’ un paese fortee competitivo, che dell’ Europa monetaria è costretto a sopportare i costi senza trarne particolari benefici. Siamo sicuri che sia così? Il costo psicologico e politico di dover mettere mano al portafoglio per aiutare i peccatori certamente esiste; anche se qualcuno dovrebbe ricordare quanto le banche tedesche abbiano contribuito a finanziare le dissipatezze altrui e quanto beneficino dell’onere sopportato per tenere la Grecia o l’ Irlanda in piedi.Ma a parte questo: disegniamo uno scenario in cui la Germania si ripiglia il marco e lascia tutti gli altri nell’ euro. La conseguenza immediata sarebbe un brusco e consistente apprezzamento del nuovo marco sul vecchio euro: gli esportatori tedeschi, che trovano in Europa fertili mercati, non apprezzerebbero. In definitiva, oggi tutti vivono maleoa disagio nel condominio dell’ euro; ma uscire da quel condominio è impresa impossibile, o quanto meno traumatica per tutti i condomini. Non converrebbe allora cercare di ridurre le tensioni della convivenza? Servirebbe a tal fine una iniziativa politica (di quelle che un tempo si prendevano in Europa) per rifondare e rinsaldare l’ unione monetaria: non si tratta solo, e neppure soprattutto, di rafforzare il patto di stabilità; si tratta di disegnare oggi un piano organico di sostegno ai paesi in difficoltà; e di prevedere per domani uno sviluppo istituzionale dell’ Unione, la cui mancanza è stata causa principale di instabilità.
Fonte: Repubblica del 26 novembre 2010Perchè è impossibile uscire dall’euro
Novembre 26th, 2010
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L'autore: Luigi Spaventa - socio alla memoria
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