Partito da una piccola cassa di risparmio romana, aveva tentato di spiccare il volo con Andreotti, riuscendoci però solo grazie a Berlusconi. E il suo improvviso crollo è allo stesso tempo sintomo e conseguenza del tramonto del premier.
Era riuscito a completare il suo percorso ideale con una puntualità straordinaria: dalla creazione di un gruppo bancario nazionale (Capitalia) partendo da una piccola cassa di risparmio (la Cassa di risparmio di Roma) al consolidamento di un gruppo bancario europeo con il conferimento di Capitalia in Unicredit, poi la presidenza di Mediobanca e infine quella delle Generali. Cesare Geronzi era arrivato al vertice dei santuari del potere del Nord. Là dove non avrebbe mai creduto di approdare quando con le sue banche romane sosteneva Giulio Andreotti e i suoi compagni di corrente, non sempre raccomandabili.
Il salto di qualità lo aveva fatto nel momento in cui Silvio Berlusconi e Gianni Letta hanno capito che potevano fidarsi di lui. Da allora, ovvero da quando Berlusconi ha preso le redini del centrodestra, la sua ascesa è stata inarrestabile. Geronzi è diventato come un filtro: tutte le grandi operazioni passavano da lui prima del via libera finale di Palazzo Chigi. Che fosse a Capitalia, a Mediobanca o alle Generali non faceva differenza. E nemmeno che avesse le deleghe operative oppure no: a lui bastava un telefono per contare. Gli bastava il suo carisma, la sua capacità di interlocuzione con la politica. Il resto erano chiacchiere. E chi provava a mettersi sulla sua strada veniva spazzato via.
Nulla sembrava in grado di fermarlo. Le inchieste giudiziarie che lo sfioravano si risolvevano in nulla o si arenavano in tempo per non dargli fastidio. Le leggi sembravano ritagliate su di lui. Governatori e presidenti di authority erano suoi amici e si guardavano bene dal disturbarlo. I giornali li controllava quasi tutti come azionista molto “presente”. Gli industriali dipendevano da lui per trovare fondi, dai finanziamenti bancari alle sottoscrizioni di capitale.
Ma alle Generali la sua stella è tramontata in fretta. Ha preteso alcune deleghe operative che normalmente un presidente non ha. Ha voluto lo stesso compenso, esagerato per un presidente, che aveva in Mediobanca. � entrato presto in rotta di collisione con il management guidato da Giovanni Perissinotto, mettendo in discussione operazioni realizzate in passato come quelle in Est Europa. Ha fatto arrabbiare il consiglio di amministrazione illustrando sui giornali strategie mai discusse nelle sedi appropriate. In più si è trovato a fare i conti con la debolezza di Berlusconi, fiaccato dagli scandali, dalla dissoluzione del partito, dalla crisi economica. Con una conseguenza pesante: l’inazione del governo ha creato un clima da “liberi tutti” che è servito anche per abbattere Geronzi. Le clamorose prese di posizione dell’imprenditore marchigiano Diego Della Valle (gruppo Tod’s) si sono trasformate presto in una ribellione della maggioranza del consiglio di amministrazione. Un segno evidente che il carisma di Geronzi non basta più e che in questa fase il potere di ritorsione della politica fa meno paura.
Forse nella defenestrazione c’è anche lo zampino del ministro dell’Economia Giulio Tremonti: riesce abbastanza difficile pensare che le banche e i banchieri rappresentati nel cda delle Generali si siano mossi contro il ministro. Ma questo è solo un sospetto. Certo è che la mappa del potere economico e finanziario nei prossimi mesi è destinata a subire trasformazioni importanti. Non tanto perché alle Generali è cambiato il presidente quanto perché Geronzi non farà sentire più il suo peso. Rafforzato negli ultimi anni dal patto stretto, «per il bene del paese», con Giovanni Bazoli, gran capo di Intesa Sanpaolo, l’unico che avrebbe potuto sfidare Geronzi, entrando in conflitto con lui.
Rcs (e quindi Corriere della Sera), Mediobanca e Telecom Italia saranno i primi banchi di prova della nuova geografia del poter
Perchè è caduto Geronzi
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