• venerdì , 14 Marzo 2025

Perché crescono le disuguaglianze

di Fabrizio Onida

L’impatto del MAGA (Make America Great Again) sulla cultura politica del mondo in cui viviamo si farà sentire a lungo, al di là della retorica sull’”alba dell’età dell’oro” proclamata da Trump nel suo logorroico discorso sullo stato dell’Unione del 4 marzo. Mi concentro su una domanda classica, che negli anni 2000 sta riemergendo con rinnovato vigore: la crescita del reddito e della ricchezza di un’area del mondo comporta inevitabilmente l’aumento delle disuguaglianze economiche e sociali al suo interno? E di conseguenza aumenta nel tempo la distanza fra il reddito per abitante medio dei paesi in cima e al fondo della classifica mondiale? Stiamo coltivando società in cui, come osserva con sarcasmo il Nobel Joseph Stiglitz, vale una nuova etica riassumibile come “one dollar one vote”?

Secondo la ricostruzione dei dati storici OCSE (A.Maddison), nel 1900 il rapporto fra reddito per abitante del paese in cima (Regno Unito) e al fondo della classifica mondiale (Ghana) era di 10:1 mentre circa un secolo dopo nel 2006 era cresciuto a 760:1 tra il primo (Lussemburgo) e l’ultimo (Burundi) su 209 paesi del World Development Indicators. Ricalcolato con tassi di cambio a parità dei poteri d’acquisto il rapporto era di 79:1, quindi comunque salito di 8 volte in un secolo.

Fra le tante curiosità: il rapporto tra reddito medio dei CEOs (amministratori delegati) delle società quotate statunitensi, (in cui la componente variabile è preponderante rispetto alla componente contrattuale fissa), e reddito medio dei lavoratori americani è salito da 21:1 a 350:1 tra il 1965 e il 2022: un rapporto difficilmente giustificabile secondo un’etica comunemente condivisibile e ben oltre le 10 volte che Adriano Olivetti riteneva giusto confrontando il compenso del capo-azienda con quello dell’ultimo dipendente.

Perché crescono le disuguaglianze nello sviluppo dei paesi? Innanzi tutto, gli economisti hanno da tempo messo in luce che il progresso tecnologico non è neutrale, bensì privilegia mediamente i redditi dei lavoratori meglio istruiti e qualificati, generando in modo cumulativo crescenti divari fra redditi personali e familiari. Così storicamente è avvenuto in tutte le fasi della rivoluzione industriale, come ad esempio quando le lavoratrici tessili inglesi sui telai a mano sono state rimpiazzate dai lavoratori addetti ai telai automatizzati del 18esimo secolo.

Oggi potremmo citare l’impatto del digital divide fra generazioni e fra lavoratori con vario grado di istruzione. In secondo luogo, salvo debite eccezioni, il grado di istruzione tende ad essere correlato al reddito personale, con effetti di trascinamento demografico. Come ricordano Billari-Tomassini sul Corsera del 6 marzo, mentre l’80% degli studenti provenienti da licei classici e scientifici (mediamente appartenenti a fasce di reddito medio-alto) ssi immatricolano nell’università, ciò vale per il 46% di chi proviene da istituti tecnici e il 26% di chi esce da istituti professionali.

Terzo, come ricorda Thomas Piketty (Breve storia dell’uguaglianza, capp. 6-7, Nave di Teseo 2021), fino agli inizi del XX secolo la quasi totalità dei regimi fiscali nel mondo sono stati nettamente regressivi e solo dopo si sono imposti regimi progressivi, anche fortemente progressivi con aliquote marginali sul reddito prossime al 90% e all’80% sulle successioni negli Usa e nel Regno Unito dopo la prima guerra mondiale. Imposte progressive sui redditi e sulle successioni contribuiscono efficacemente a combattere le disuguaglianze sociali e l’iperconcentrazione della proprietà. In Europa la quota sul Pil del 10% più ricco della popolazione è scesa dal 50% al 30% dal 1900 al secondo dopoguerra, salvo poi risalire al 35% negli anni 2000 quando la progressività delle imposte è stata fortemente ridotta.

Quarto, l’ultima fase del XX secolo e l’inizio degli anni 2000 hanno visto in diversi paesi ridursi il consenso politico verso politiche redistributive mirate a correggere squilibri nella spesa sociale conseguenti agli shocks sanitari e ambientali (Persson-Tabellini, American Economic Review 1994, R.Perotti e diversi altri) Quinto, globalizzazione e finanziarizzazione hannocontribuito ad accrescere la distanza fra creditori e debitori nella distribuzione della ricchezza (J.Galbraith, Project Syndicate 23 agosto 2019).

In sintesi, se l’egualitarismo spinto praticato da regimi dittatoriali di tradizionale ispirazione comunista (come il fallito modello dell’Unione Sovietica) soffoca il dinamismo della società moderna e innovativa, il contrario vale per regimi autenticamente liberali di egualitarismo moderato, che favoriscono il funzionamento dell’ascensore sociale senza trascurare i soggetti meno privilegiati, secondo un modello di sviluppo inclusivo che abbia al centro la crescita del capitale umano e il rispetto delle minoranze.

(Sole 24Ore, 9 marzo 2025)

Fonte: Sole 24Ore, 9 marzo 2025

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