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Per uscire dalla crisi è giusto (e doveroso) mettere mano alle pensioni

Il Governo ha presentato la Nota di aggiornamento al DEF (Documento di economia e finanza) 2011, che rappresenta il riferimento per la programmazione finanziaria e di bilancio, con il compito di aggiornare le previsioni economiche in relazione alle informazioni riviste sull’andamento macroeconomico e di finanza pubblica rispetto a quelle utilizzate per il DEF e di rimettere a punto gli obiettivi programmatici (per tenere conto delle eventuali raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea sull’aggiornamento del Programma di Stabilità) o la loro articolazione.
Sotto un profilo di carattere generale, la Nota presenta il quadro macroeconomico aggiornato per gli anni 2011-2014; in questo ambito, il dato di maggiore interesse per il Parlamento indica che rispetto alle previsioni originarie del DEF l’economia italiana sperimenterà una minore crescita, cumulata nel periodo 2011-2014, pari a circa 2 punti percentuali (con un’espansione tendenziale del PIL prevista allo 0,7% per il 2011, allo 0,6% nel 2012, allo 0,9% nel 2013 e all’1,2% nel 2014). Se si mette a confronto tale percorso in risalita del PIL con il dato della caduta (-5%) del 2009, viene in evidenza la complessità della situazione in cui il Governo deve operare. Tuttavia, sarebbe ingiusto attribuire queste tendenze poco lusinghiere a ragioni attribuibili alla politica economica italiana. Infatti, tale flessione – che rende necessaria la revisione del quadro macroeconomico all’interno della Nota di aggiornamento – è causata soprattutto dal rallentamento dell’economia mondiale e dai conseguenti riflessi sulla situazione interna, peraltro resa più pesante dalle recenti tensioni sui mercati finanziari.
Nell’anno in corso è in atto una brusca frenata del commercio mondiale (+5,6% contro un +15,3% del 2010) che si riverserà anche nel 2012 (+4%). Nel giugno scorso le previsioni erano rispettivamente pari a +9,1% e a +7,9%. La crescita prevista dell’economia americana è risultata di un terzo inferiore di quanto ipotizzato (+2% contro il 2,9%). Mentre nei paesi del G7 è prevista nel quarto trimestre dell’anno in corso una crescita nulla. Anche nell’Eurozona si passa dal previsto +1,6%% ad un più 1%, mentre flette dal 6,3% al 5,9% la crescita dei Paesi emergenti.
Il documento in esame, pertanto, pone in risalto come, proprio per fronteggiare i possibili rischi derivanti da tale contrazione del PIL, il Governo, con le misure approvate a luglio e ad agosto scorsi, abbia mirato all’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, un anno prima rispetto a quanto ipotizzato nel DEF: in tal modo, il debito pubblico seguirà un sentiero di ancor più rapida riduzione, nel senso che, pur confermando le stime già presenti nel DEF, registrerà comunque una diminuzione più marcata negli ultimi 2 anni, fino a giungere al 112,6% in rapporto al PIL nel 2014.
In proposito, la stessa Nota di aggiornamento rileva come l’approvazione delle misure di emergenza adottate nel corso dell’estate garantisca la predetta anticipazione del pareggio di bilancio, in quanto la manovra di luglio, in linea col DEF, ha previsto una correzione netta cumulata pari a circa 48 miliardi (2,8% del PIL), mentre quella di agosto, a seguito delle turbolenze sui mercati finanziari e – diciamolo pure – in conseguenza dell’insorgere di problemi di credibilità di taluni aspetti della manovra stessa sui mercati internazionali, ha portato il Governo e il Parlamento alla correzione netta cumulata di circa 59,8 miliardi (3,5% del PIL). Fondamentale è stato il contributo del Capo dello Stato in ambedue le occasioni: a luglio con l’invito rivolto alle forze politiche ad approvare in pochi giorni il provvedimento, pur senza rinunciare alle loro autonome valutazioni; ad agosto, con l’esortazione a rafforzare i contenuti del decreto di ferragosto e a venire a capo, assumendo le necessarie decisioni, di un dibattito che rischiava di avvitarsi su se stesso.
In tale contesto, la Nota di aggiornamento mette in evidenza le principali riduzioni di spesa che hanno contribuito a rivedere, nei termini appena indicati, i dati di natura macroeconomica, soffermandosi, tra l’altro, sulle misure per la sostenibilità del sistema previdenziale: in tale settore, si prevede un risparmio di 1 miliardo di euro nel 2012, di 3,5 miliardi di euro nel 2013 e di 3,3 miliardi di euro nel 2014. Il documento in esame, peraltro, fa notare come la sostenibilità del sistema pensionistico italiano sia stata ulteriormente rafforzata con i provvedimenti in precedenza richiamati, che hanno “realizzato un maggior rigore nei requisiti di accesso al pensionamento”.
In tale materia, la Nota di aggiornamento – dopo avere esposto il quadro macroeconomico generale, le raccomandazioni di politica economica rivolte dalle istituzioni europee all’Italia e gli elementi di sintesi delle manovre già adottate – dedica anche alcune pagine alle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico. Lo fa, avvalendosi largamente di quanto risulta dalle “Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” (Rapporto n.12 a cura del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato), riporta un raffronto tra le nuove misure in materia previdenziale e il sistema previgente, che evidenzia come, sovrapponendo alla normativa precedente gli interventi adottati dal Governo con il recente decreto n. 98 del 2011, si registri un effetto di contenimento aggiuntivo dell’incidenza della spesa pensionistica rispetto al PIL crescente dal 2012, che raggiunge 0,6 punti percentuali di PIL attorno al 2030, mentre nei successivi quindici anni il risparmio si attesta attorno a un valore di circa 0,3 punti percentuali, per poi sostanzialmente annullarsi negli anni finali: l’effetto cumulato di contenimento, dunque, è pari a circa 12 punti percentuali di PIL al 2050.
Ricostruito, peraltro, l’assetto normativo vigente in materia di pensionamento di vecchiaia ordinaria e di pensionamento anticipato (con i relativi riferimenti all’adeguamento del sistema previdenziale alle aspettative di vita), la Nota conclude con una valutazione degli effetti più complessivi prodotti dai più recenti interventi di riforma (rispetto alla legislazione antecedente), che comporterà “una significativa riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL che raggiunge in media 1,4 punti percentuali annui nell’intero periodo 2015-2040”; in termini cumulati al 2050, dunque, gli interventi complessivi danno luogo a una riduzione di circa 39 punti percentuali (di cui circa il 60% è da ascrivere agli effetti delle recenti manovre).
La previsione (con riferimento allo scenario elaborato dall’ISTAT, con base 2007) mette in evidenza: un aumento della speranza di vita, al 2050, di 5,9 anni per i maschi e di 5,8 anni per le femmine rispetto ai dati del 2005, che porta i valori di fine periodo rispettivamente a 84,5 e a 89,5 anni; un tasso di fecondità che converge gradualmente da 1,37 a 1,58; un flusso netto di immigrati di poco inferiore alle 200.000 unità l’anno. Questi dati, in particolare quelli riguardanti l’attesa di vita, giustificano visibilmente le misure adottate nell’attuale legislatura sull’età pensionabile e sull’aggancio automatico alle dinamiche demografiche, in modo da assicurare la stabilità e l’equilibrio del sistema.
Si segnala, inoltre, che nel triennio 2008-2010 il rapporto tra spesa pensionistica e PIL è cresciuto di 1,4 punti percentuali, passando dal 13,9% del 2007 al 15,3% del 2010 (un livello prossimo al picco del 15,5%, previsto nel periodo 2040-2043). Tale incremento è dovuto (secondo quanto sostiene la Ragioneria Generale dello Stato) esclusivamente agli effetti negativi della crisi economica sul denominatore del rapporto; una messa a punto di taluni parametri del sistema (incluso quello “portante” dell’età pensionabile in relazione ai trend dell’aspettativa di vita) si è rivelato non solo opportuno ma necessario, ferme restando ovviamente le tante e diverse considerazioni che potrebbero essere svolte sulle modalità operative dell’operazione.

Fonte: Occidentale del 3 ottobre 2011

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