• sabato , 23 Novembre 2024

Per riformare il finanziamento ai partiti basterebbe una sana concorrenza

L’eliminazione del finanziamento pubblico viene solitamente ricondotta a motivi di moralità e di austerità, di ribellione per l’uso tra il disinvolto e il furfantesco delle risorse e di intolleranza per il contrasto tra le larghezze consentite ad alcuni e le ristrettezze imposte a tanti. Ma queste ragioni rischiano di farne dimenticare altre.
Le leggi elettorali traducono i voti in seggi, regolano dunque il meccanismo primario della democrazia. Ma perché poi la democrazia funzioni, ci vogliono i partiti. Attualmente sono le segreterie dei partiti a determinare le scelte politiche, passano per i loro tesorieri la decisioni su come e per chi spendere i soldi del finanziamenti, qualunque ne sia la provenienza. Dagli organi di partito dipende la scelta di chi porre in lista, se il sistema è proporzionale, o di chi esporre al diretto confronto con l’avversario, se è maggioritario. Perfino il meccanismo delle primarie può essere usato da chi detiene concretamente il potere. Noi abbiamo quasi perso la memoria delle battaglie per rovesciare le segreterie, quella con cui Fanfani batté De Gasperi, o in tempi più recenti Craxi ebbe la meglio su Signorile.
Reagan e Obama non furono cooptati, ma uscirono vincitori da vigorose battaglie interne. Legge elettorale e legge sul finanziamento sono due provvedimenti entrambi fondamentali per la competizione democratica: la prima definisce la competizione per il voto, la seconda la competizione per il controllo di che cosa sottoporre al voto. Ma mentre della prima si discute accanitamente, della seconda, quasi mai: il finanziamento della politica deve diventare l’occasione per metterla al centro. La proposta originaria del “due per mille”, criticata perché il finanziamento dei partiti surrettiziamente privato, in realtà restava pubblico, è stata giustamente modificata, l’inoptato resterà allo stato. Ma surrettizia continua a essere la possibilità di scelta consentita ai cittadini: il contributo continuerà ad andare alle segreterie dei partiti.
Invece si dovrebbe incentivare la destinazione del contributo alle strutture periferiche o alla campagna elettorale del candidato di propria scelta. Non troverei scandaloso anche che si destinassero soldi pubblici per il funzionamento delle associazioni che la Costituzione prevede per il concreto funzionamento della democrazia: ma a condizione che sia davvero democrazia e non una serie di oligarchie di segretari e tesorieri. La legge che ora viene proposta nulla dice inoltre dei gruppi parlamentari: sarebbe una beffa se il finanziamento pubblico, cacciato dalla porta, rientrasse per quella finestra. L’abolizione dei contributi ai gruppi elimina l’interesse economico a uscire dal gruppo del partito con cui si è stati eletti, per costituirne di nuovi. La riduzione del numero dei parlamentari dovrebbe corrispondere a una loro maggiore disponibilità di risorse per il proprio lavoro, riducendo il ruolo dei gruppi a puro coordinamento organizzativo. L’allergia alla competizione per il controllo è la caratteristica saliente del nostro capitalismo relazionale.
Il parallelismo con la politica è evidente: le segreterie dei partiti, da un lato, i gruppi di controllo dall’altro; la concorrenza per il voto portata anche dall’irruzione di soggetti fuori dal sistema, e la concorrenza per i prodotti di paesi che irrompono grazie alla globalizzazione. L’accentramento dei finanziamenti consente di evitare la concorrenza per il controllo e così mantenere i “benefici privati del controllo”.
Interventi per realizzare la contendibilità del controllo ci sono stati, ma sono stati presto neutralizzati da applicazioni compiacenti.Questo paese è bloccato dai tanti interessi corporativi: suscitare una prepotente richiesta di maggiore concorrenza, e realizzarne le condizioni, incominciando dai piani alti delle nostre strutture portanti, è compito della politica. Ma come può farlo se essa stessa replica al proprio interno i meccanismi che dovrebbe combattere, di protezione dalla concorrenza e di difesa dei benefici privati del controllo? Aumentare la contendibilità interna dei partiti, finanziandoli dalla periferia, risponde non solo a esigenze di democrazia, ma di crescita per il paese. Per questo, la legge sul finanziamento dei partiti è un’occasione da non perdere.

Fonte: Il Foglio del 12 giugno 2013

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