La cancelliera tedesca Angela Merkel ha attenuato la richiesta di sanzioni immediate e interamente automatiche contro i paesi euro che violano le regole di rigore fiscale, ma ha ottenuto dal presidente francese Nicolas Sarkozy l’impegno per una riforma dei Trattati europei che introdurrà dal 2013 sanzioni politiche per i paesi che non rispetteranno i criteri di disciplina. Uno scambio tra un allentamento del rigore iniziale chiesto da Berlino e la garanzia futura di non ritrovarsi costretta a intervenire in extremis, come a maggio, al salvataggio della Grecia.
Aver tolto dal tavolo del negoziato una logica puramente sanzionatoria è per molti un atto di buon senso, per il governo italiano in particolare che riteneva di essere particolarmente penalizzato da criteri automatici di riduzione del debito. Ma è presto per valutare la portata di un accordo che affida le decisioni sulle sanzioni al voto a maggioranza dei ministri e non della Commissione, e sembra aprire dunque nuovi equilibri tra i paesi dell’euro. L’attenuazione del rigore e del completo automatismo chiesti inizialmente da Berlino potrebbe non essere una notizia del tutto positiva: era infatti possibile, anche a beneficio dell’Italia, in cambio di maggiore rigore da parte di paesi ad alto debito, ottenere maggiore impulso all’economia dai paesi fiscalmente più virtuosi.
Questo scambio di mutuo interesse sembra ora più difficile, essendo sostituito da uno scambio tra minor rigore oggi e maggiori garanzie fra tre anni. Per l’Italia poteva essere invece molto importante da subito garantirsi che il rigore fiscale a cui deve comunque inevitabilmente sottoporsi avvenisse in un contesto di crescita spinta dall’estero anziché di stagnazione. Il governo è d’altra parte certamente alleggerito dall’essere riuscito a far adottare criteri interpretativi del debito che lasciano spazio anche alla considerazione del livello per ora soddisfacente del risparmio privato italiano.
In cambio del pieno automatismo delle sanzioni, Merkel ottiene che il meccanismo utilizzato per il salvataggio della Grecia non sarà prolungato oltre il 2013. Per allora Berlino vuole una modifica dei Trattati e la creazione di un nuovo regime di risoluzione della crisi che riduca l’eventualità di nuovi interventi pubblici e coinvolga attori privati. Inoltre ha chiesto l’applicazione di sanzioni politiche molto gravose come il ritiro del diritto di voto del paese fuori regola nelle decisioni comuni.
Un complesso sistema di sorveglianza preventiva e di sanzioni verrà esteso dalla politica fiscale agli squilibri macroeconomici la cui valutazione è affidata a un gruppo d’indicatori anche anticipativi. L’accento della sorveglianza fiscale si sposta dal disavanzo del bilancio pubblico al livello del debito, a regole prudenziali, alla coerenza con gli obiettivi di medio termine e alla sostenibilità – non automatica – del debito. Non viene accolto il meccanismo proposto dalla Commissione che prevedeva che i paesi il cui debito pubblico superi il 60% del Pil riducano la parte eccedente di un ventesimo all’anno (tranne circostanze eccezionali). Ma a quanto pare nuovi criteri quantitativi verranno individuati e applicati successivamente.
In quel contesto l’Italia avrà la possibilità di reintrodurre una riflessione tra i paesi euro sulla necessità di stimolo allo sviluppo dai paesi in migliori condizioni economiche. Perché questo sia possibile sarebbero necessarie almeno tre integrazioni ai progetti di riforma sul tavolo. La prima è il completamento del mercato unico secondo i dettami del rapporto Monti; il secondo è il rilancio degli investimenti comunitari attraverso il bilancio Ue o, se politicamente più accettabile, attraverso l’emissione di titoli di debito europeo; il terzo è un coordinamento delle politiche economiche tale da rafforzare l’intervento comune non solo sui paesi debitori, ma anche su quelli in surplus inducendoli ad aumentare consumi e investimenti in misura più convincente di quanto le proposte attualmente sul tavolo a Bruxelles sembrano garantire.
Per lo sviluppo italiano serve più coraggio
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