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Per accontentare l’Ue ci facciamo male da soli

Aria di pasticcio – l’ennesimo – su un tema strategico per il Paese che il governo d’emergenza dei tecnici pretende di gestire e risolvere al volo, fedele al suo stile neo-cesarista («veni, vidi, vici») teleguidato da Francoforte e da Berlino: la separazione tra Eni e Snam. Il progetto allo studio nel Palazzo è una straordinaria partita di giro sostanzialmente priva di senso, identica a quella già effettuata ai tempi dello scorporo della rete elettrica dall’Enel, quando cioè lo Stato ricomprò attraverso la Cassa depositi e prestiti il 30% di un asset che prima già controllava, sempre al 30%, ma attraverso l’Enel. Solo che, almeno, in quel caso il 70% di Terna fu privatizzato, l’Enel intascò molti soldi e potè ben remunerare i suoi soci, a cominciare dal Tesoro stesso. Stavolta invece la Snam è già sul mercato, non la si può privatizzare una seconda volta, se non in piccola parte, e quindi c’è poco da ricavarne. Si può far vendere, appunto, il controllo della rete del gas dall’Eni alla Cassa depositi e prestiti, come già fece l’Enel con Terna: così l’Europa è contenta e la partita di giro si ripropone, con grande giubilo di banche d’affari, advisor e avvocati che su un uragano di carte bollate come questo guadagneranno 200 milioni di euro. Naturalmente, come la separazione di Terna da Enel non ha fatto scendere di un centesimo il prezzo del kilowatt (che veleggia anzi ai massimi in Europa), così accadrà per questa scissione e per il prezzo del metro cubo di gas, ma tant’è: è una roba da tecnici, e va fatta. Tutti sanno che è insensato pensare di liberalizzare utilmente nel segmento a valle della distribuzione il prezzo di una commodity energetica che è monopolistico a monte. Ma per obbedire ai diktat europei, si passa sopra sia al buon senso che all’esperienza. Negli ultimi giorni sembrava prender corpo un’ipotesi ancora più assurda, che cioè l’operazione si facesse in tutto o in parte per scissione dell’Eni. Nascerebbe cioè un Eni1, con dentro tutte le attuali attività tranne il gas, e un Eni2, con dentro solo il gas. Tutti gli attuali azionisti dell’unica Eni si ritroverebbero azionisti di entrambe le Eni figlie della scissione, entrambe quotate. Tutti contenti, tutti alla pari? Mica tanto. L’Eni 1, quella petrolifera, non solo dovrebbe rinunciare all’asset della rete gas ma s’indebolirebbe patrimonialmente rispetto ad oggi, diventando più scalabile, con minori capacità di leva finanziaria, di indebitamento e quindi d’investimento, con minore peso internazionale… Ora pare che almeno questo harakiri sia rientrato. Comunque, continuiamo a farci del male da soli, che l’Europa è contenta.

Fonte: Italia Oggi del 23 marzo 2012

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