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Pensioni, gli immigrati tamponano i conti

La serie di riforme della previdenza che ha pesantemente ridotto gli importi delle pensioni future (oltre ad aumentare la soglia dell’età pensionabile) è stata la conseguenza di varie analisi secondo cui con le norme precedenti il peso della spesa necessaria sarebbe cresciuto negli anni a venire oltre livelli considerati eccessivi. Preoccupavano in particolare due fattori: la previsione di un sensibile calo della popolazione e la cosiddetta “gobba del 2035”: si stimava cioè che nel corso degli anni Trenta le spesa sarebbe cresciuta sensibilmente per qualche anno, prima di tornare a scendere verso livelli che sarebbero stati inferiori a quelli precedenti a questo aumento.

Le previsioni, si sa, hanno sempre grossi margini di incertezza, e quelle a lunghissimo termine ancora di più. In questo caso le variabili principali da ipotizzare erano l’andamento demografico (natalità, mortalità, speranza di vita alle varie età, flussi migratori) e quello economico (tasso medio di crescita, occupazione, produttività), e in più variabili legate a comportamenti come le scelte di pensionamento. Nessuno degli esercizi effettuati (Eurostat, Istat, Onu, Ragioneria generale e vari studiosi) è riuscito a prevedere con precisione l’andamento delle diverse variabili. Soprattutto, parlando di quelle demografiche, gli errori più macroscopici sono stati quelli sull’immigrazione e sulla popolazione, fenomeni entrambi largamente sottostimati.

Ad esaminare tutti questi studi e a fare il punto della situazione si è cimentato Angelo Marano, economista e dirigente del ministero del Lavoro. Ne emerge un quadro forse meno preoccupante di quanto si temesse fino a una decina di anni fa, ma nonostante ciò non del tutto rassicurante.

Tutti gli studi citati avevano stimato, per l’Italia del 2050, una popolazione in calo marcato, da 9 a 14 milioni di persone in meno. Oggi l’Onu prevede stabilità, mentre secondo l’Istat arriveremo a 63,5 milioni e secondo Eurostat addirittura a 67,1, con aumenti rispettivamente di 16,6 e 19 milioni rispetto alle stime precedenti. Il tasso di natalità è leggermente aumentato rispetto a quello previsto e il tasso di mortalità lievemente diminuito, ma lo scostamento più grosso è quello relativo agli immigrati: si pensava che ne arrivassero 40-50 mila l’anno (che era il flusso medio fino al 2000), mentre poi questo valore si è impennato collocandosi tra 250 e 390 mila unità l’anno.

L’effetto più importante è il miglioramento di un fattore cruciale per l’equilibrio dei sistemi previdenziali, ossia il “tasso di dipendenza”, che si ottiene dal rapporto fra il numero degli ultrasessantacinquenni e quello delle persone in età lavorativa, tra 20 e 64 anni. Come è noto nel nostro sistema le pensioni sono pagate dai contributi di chi lavora, e dunque se questo rapporto cresce troppo sono guai. Si prevedeva quasi un raddoppio, cioè che arrivasse al 66-68%, mentre le ultime due proiezioni Eurostat (del 2010 e 2013) lo collocano al 63 e al 58%, cioè ben 10 punti più in basso. Osserva Marano: “Le simulazioni mostrano come l’aumento dei flussi migratori abbia un significativo effetto di contenimento della spesa pensionistica in rapporto al Pil, rapidamente crescente fin dai primi anni e che può arrivare quasi all’1% del Pil, scemando poi lentamente. Dunque, le previsioni di spesa pensionistica, con la caratteristica “gobba” che tanta attenzione ha catturato nel dibattito italiano, sarebbero risultate sostanzialmente più basse se lo scenario demografico avesse utilizzato saldi migratori più vicini a quelli poi effettivamente verificatisi”. Insomma, la “gobba” non c’è più o almeno è molto ridimensionata (a seconda dei vari studi: qui sotto i grafici di quattro di essi tratti dallo studio di Marano). E se le previsioni sull’immigrazione fossero state più azzeccate, le varie riforme della previdenza avrebbero potuto essere meno pesanti.

Pensioni-e-immigrati

Allora siamo ricchi, ci avanzano i soldi? Magari. Sarebbe troppo bello. Perché le variabili demografiche sono solo una parte di quelle prese in considerazioni per fare queste proiezioni. Non meno importanti sono le stime sulle variabili economiche: quanto si cresce, quanti lavorano, con quale produttività, eccetera. E se le ipotesi demografiche erano troppo pessimistiche, quelle sull’andamento dell’economia, che pure non erano mirabolanti, si sono rivelate troppo ottimistiche, almeno finora. Certo, era difficile prevedere la grande crisi che ci attanaglia dal 2008. La Ragioneria, per esempio, aveva ipotizzato un tasso medio di crescita del Pil dell’1,5%, addirittura prudente in situazioni normali. Ma oggi purtroppo ci sembra quasi un sogno. “Il calo del Pil del 5,5% nel 2009 ha, per esempio, provocato, da solo, l’aumento di 1 punto di Pil della spesa pensionistica”, nota Marano. In altre parole, il grasso che sarebbe derivato dalla sottostima delle variabili demografiche l’hanno consumato la crisi e la pesante riduzione dei posti di lavoro.

Certo, non bisogna mai dimenticare che stiamo comunque parlando di proiezioni a lunghissimo termine, e quindi proiettare i dati di una situazione contingente può portare a risultati anche molto fuorvianti. E le variabili demografiche, immigrazione a parte, hanno una variabilità molto minore rispetto a quelle economiche. Resta il fatto che, se non si riesce a migliorare l’andamento di queste ultime, nonostante la pesantezza delle riforme, alla spesa previdenziale bisogna continuare a dedicare attenzione. Per ora ci salvano gli immigrati, ma se l’economia non gira tutto diventa più difficile.

Fonte: Repubblica.it - 5 Maggio 2015

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