Da europei diremmo che le politiche giapponesi non superano il test di Kant: che cosa succederebbe se tutti inondassimo di liquidità i nostri Paesi allo stesso modo? O se tutti svalutassimo le nostre monete? Tuttavia sempre da europei bisogna chiedersi se il fatto che anche in Europa si profili uno scenario giapponese, di prolungata disinflazione e recessione, non significhi che anche noi dobbiamo guardare con più coraggio all’armamentario di politica economica. Se pensiamo che in Italia ci dividiamo aspramente sul rinvio di tre mesi dell’Imu, abbiamo il senso dei limiti della nostra capacità politica.
A confronto con i cambiamenti tellurici nell’economia mondiale, la risposta politica europea continua infatti a muoversi lenta come un ghiacciaio. Nel bene e nel male, l’esempio giapponese è notevole. Dopo due decenni in cui i prezzi scendevano frenando le aspettative di sviluppo, le politiche di stimolo ispirate dal primo ministro Shinzo Abe hanno riportato dinamismo nell’economia. Le imprese giapponesi hanno previsioni di aumento dei profitti nell’anno fiscale (cioè a marzo 2014) di oltre il 40%. Gli investimenti stanno tornando a casa dopo che in Cina è cresciuta sia l’inflazione salariale sia l’incertezza politica.
I cambiamenti nella geopolitica sono così ampi che anche le ricette politiche per avere efficacia stanno diventando smisurate. Attraverso i canali finanziari ogni nuova iniziativa ha effetti macroscopici sul resto dell’economia globale: il calo dello yen per esempio apre una fase di tensioni tra le monete che, volenti o nolenti, porterà anche l’Europa a rivedere le proprie politiche.
Come ha sottolineato su queste colonne Marco Onado due giorni fa, le politiche di liquidità che sono state attuate da gran parte delle banche centrali del mondo nascondono gravi pericoli. È sensato immaginare che appena arriveranno i primi segnali di inversione di rotta, l’uscita da politiche monetarie troppo generose sarà ordinata quanto quella da un teatro in fiamme. Il G-7 che si riunisce in questo fine settimana, anziché trattare astrattamente di conflitti tra austerità e politiche di spesa, o delle proposte tedesche di estendere i criteri di Maastricht al resto del mondo, dovrebbe cominciare ad attrezzare una rete di sicurezza finanziaria e di governo delle valute.
L’Eurozona in questo gioco non potrà rimanere spettatore silente.
In aprile l’inflazione media è scesa di colpo dall’1,7% all’1,2%. Ci saranno oscillazioni nei prossimi mesi, ma a fine anno l’inflazione sarà lontana dall’obiettivo della Banca centrale europea «prossimo al 2%».
Nei Paesi della periferia, Italia esclusa, i prezzi sono già vicini allo zero. L’aumento della disoccupazione in Italia fa immaginare che anche da noi si farà largo la “svalutazione interna” cioè il calo di prezzi e salari che sposterà le attività dal mercato interno a quello dell’esportazione. L’aggiustamento simmetrico che significherebbe stimolo della domanda in Germania e aumento dei prezzi tedeschi si vede solo nel settore immobiliare. Il peso delle imposte, che ha sostenuto i prezzi negli ultimi due anni, calerà probabilmente dal 2014. Nel medio termine quindi l’orizzonte della Bce sarà segnato da prezzi calanti.
Per evitare la spirale deflazionistica giapponese, la Bce ha cominciato a far un uso più ampio delle misure non convenzionali di politica monetaria, a partire dall’assunzione di maggiori rischi nel bilancio della banca centrale. Tassi di interesse negativi sui depositi presso la Bce e politiche del collaterale mirate a sbloccare il credito alle imprese vengono espressamente testate. Prima o poi si porrà il problema del livello dell’euro mettendo a nudo un potenziale conflitto tra le esigenze della politica economica e i vincoli statutari, sanciti nei Trattati, entro cui può muoversi la banca centrale.
È possibile che, nella sostanza più che nella forma, questi limiti non restino inviolabili dopo il voto tedesco del 22 settembre. Da Berlino i segnali sono di non cedimento, ma bisogna depurarli dal rumore della campagna elettorale. È la prima volta che la cancelliera Merkel deve fare una campagna elettorale attiva anziché semplicemente sottolineare le contraddizioni dell’opposizione. Per una campagna assertiva, Merkel deve profilarsi come un bastione a difesa della posizione tedesca, ma contraria ai populismi anti-europei rinfocolati dal partito “Alternativa per la Germania”. Dopo il voto, a fine 2013, quando l’inflazione europea scenderà verso l’1% e la recessione si allargherà ad altri Paesi, si dovrà aprire una finestra per le politiche di stimolo.
A quella finestra, l’Italia dovrà presentarsi con le carte in ordine con il bilancio virtuoso, con banche pulite, e con la capacità di spostare le risorse non occupate, lavoro e capitale, in modo flessibile verso quelle imprese che saranno capaci di investire e di esportare. Con lo sguardo al mondo ma con le responsabilità in casa propria: più o meno il contrario di adesso.
Paure europee e coraggio giapponese
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