Il governo Monti si è impegnato a vendere 5 miliardi di immobili pubblici l’ anno per i prossimi tre anni. Il ricavato andrebbe a ridurre il debito pubblico. Una goccia nel mare, visto che il debito ormai sfiora 2 mila miliardi di euro, ma comunque un segnale. Che sarebbe duplice: da una parte che si ricomincia a vendere qualcosa dopo una pausa di sei anni; dall’ altra che si riesce a vendere (se ci riuscirà) nonostante le resistenze delle amministrazioni, le complessità burocratiche e la situazione dei mercati. Un prima verifica è alle porte, la legge di stabilità prevede che entro il 30 aprile, quindi esattamente tra una settimana, dovrebbe essere reso pubblico l’ elenco dei primi immobili che saranno offerti al mercato e, auspicabilmente, anche le modalità di cessione. Il patrimonio pubblico complessivo è ingente, ma anche se si parla di circa mille e 900 miliardi, la parte vendibile è realisticamente molto minore. Le componenti più rilevanti sono quella immobiliare, che sommando stato, regioni, enti locali, Asl e università arriverebbe a 388 miliardi più 150 miliardi di edilizia pubblica residenziale, e le circa 2 mila utility controllate dagli enti locali (437 nel settore idrico, 418 nella distribuzione del gas, 548 nell’ elettricità, 645 nell’ igiene ambientale, 633 nel trasporto pubblico). Sulla cessione di queste ultime il braccio di ferro tra centro che spinge a vendere periferia che resiste dura da anni e vedremo se il governo dei tecnici riuscirà ad essere più efficace dei suoi predecessori politici. Sulla parte immobiliare le cose sono apparentemente più semplici, ma purtroppo solo apparentemente. Resistenze delle amministrazioni proprietarie a parte, ci sono i problemi della destinazione degli immobili e dei terreni, delle licenze e delle autorizzazioni necessarie a trasformarle e renderle produttive e c’ è il problema del mercato, che non tira e per qualche anno non tirerà. C’ è già troppa offerta e la poca domanda non trova il credito necessario. Fatta la tara sull’ intero patrimonio pubblico, tolti gli immobili funzionali e quelli per varie ragioni difficilmente cedibili si arriva a circa un 10 per cento del totale che potrebbe essere immesso rapidamente sul mercato: un valore di 42 miliardi secondo le stime del Tesoro, probabilmente qualcosa di meno vista la congiuntura. In realtà, con un’ accurata gestione finanziaria la cifra si potrebbe allargare includendo anche immobili non immediatamente cedibili ma che potrebbero esserlo in un tempo accettabile. L’ unico modo per incassare relativamente presto è quello di non cedere gli immobili uno per uno ma di conferirli ad uno o più fondi per poi collocarne le quote. È il suggerimento avanzato da molti ma che ancora non si riesce a vedere in azione. Ai fondi dovrebbero essere conferiti immobili per i quali è stata già stabilità la destinazione d’ uso e che siano dotati delle necessarie autorizzazioni per il restauro o la trasformazione, eliminando così l’ incertezza sui tempi burocratici. Dovrebbero essere conferiti al valore di mercato e accompagnati da un piccolo sconto e poi ristrutturati, valorizzati e ceduti a cura del fondo, che per svolgere questa operazione dovrebbe essere in grado di indebitarsi. Lo stato o l’ ente che conferisce gli immobili dovrebbe mantenere una quota minoritaria ma significativa, per esempio il 30 per cento, per partecipare all’ aumento di valore del bene. Gli investitori dovrebbero puntare non sul rendimento ma sul guadagno in conto capitale nel lungo termine. Fondi pensione, fondi sovrani, assicurazioni, e anche privati potrebbero essere interessati. A due condizioni: che il valore di conferimento del bene sia corretto e che la gestione dei fondi sia professionale e onesta. Condizione quest’ ultima che, la storia del settore immobiliare insegna,resta la più difficile da soddisfare.
Fonte: Repubblica del 23 aprile 2012Patrimonio pubblico un fondo per la vendita
L'autore: Marco Panara
Commenti disabilitati.